LETTURE PATRISTICHE - Tempo di Pasqua
Dalle «Omelie sui vangeli» di san Gregorio Magno papa
(Om. 14, 3-6; PL 76, 1129-1130)
Cristo, buon Pastore
Cristo, buon Pastore
«Io
sono il buon Pastore; conosco le mie pecore», cioè le amo, «e le mie
pecore conoscono me» (Gv 10, 14). Come a dire apertamente: corrispondono
all'amore di chi le ama. La conoscenza precede sempre l'amore della
verità.
Domandatevi, fratelli carissimi, se siete pecore del
Signore, se lo conoscete, se conoscete il lume della verità. Parlo non
solo della conoscenza della fede, ma anche di quella dell'amore; non del
solo credere, ma anche dell'operare. L'evangelista Giovanni, infatti,
spiega: «Chi dice: Conosco Dio, e non osserva i suoi comandamenti, è
bugiardo» (1 Gv 2, 4).
Perciò in questo stesso passo il Signore
subito soggiunge: «Come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e
offro la vita per le pecore» (Gv 10, 15). Come se dicesse
esplicitamente: da questo risulta che io conosco il Padre e sono
conosciuto dal Padre, perché offro la mia vita per le mie pecore; cioè
io dimostro in quale misura amo il Padre dall'amore con cui muoio per le
pecore.
Di queste pecore di nuovo dice: Le mie pecore ascoltano
la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita
eterna (cfr. Gv 10, 14-16). Di esse aveva detto poco prima: «Se uno
entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo»
(Gv 10, 9). Entrerà cioè nella fede, uscirà dalla fede alla visione,
dall'atto di credere alla contemplazione, e troverà i pascoli nel
banchetto eterno.
Le sue pecore troveranno i pascoli, perché
chiunque lo segue con cuore semplice viene nutrito con un alimento
eternamente fresco. Quali sono i pascoli di queste pecore, se non gli
intimi gaudi del paradiso, ch'è eterna primavera? Infatti pascolo degli
eletti è la presenza del volto di Dio, e mentre lo si contempla senza
paura di perderlo, l'anima si sazia senza fine del cibo della vita.
Cerchiamo,
quindi, fratelli carissimi, questi pascoli, nei quali possiamo gioire
in compagnia di tanti concittadini. La stessa gioia di coloro che sono
felici ci attiri. Ravviviamo, fratelli, il nostro spirito. S'infervori
la fede in ciò che ha creduto. I nostri desideri s'infiammino per i beni
superni. In tal modo amare sarà già un camminare.
Nessuna
contrarietà ci distolga dalla gioia della festa interiore, perché se
qualcuno desidera raggiungere la mèta stabilita, nessuna asperità del
cammino varrà a trattenerlo. Nessuna prosperità ci seduca con le sue
lusinghe, perché sciocco è quel viaggiatore che durante il suo percorso
si ferma a guardare i bei prati e dimentica di andare là dove aveva
intenzione di arrivare.