CORPO E SANGUE DEL SIGNORE
CORPO E SANGUE DEI POVERI
SOLENNITA’ DEL SS. CORPO E SANGUE DI CRISTO
(Es. 24,3-8;sal. 115;Ebr.9,11-15;Mc. 14,12-16.22-26)
In questa domenica del “Corpus Domini” il brano evangelico ripropone quelle parole forti e concrete che dovettero sconvolgere non poco i discepoli quando Gesù, prendendo il pane e il vino, disse: “Questo è il mio corpo... Questo è il mio sangue”. Nel linguaggio semitico, della gente di allora, significano semplicemente e paradossalmente: “Questo sono io stesso”. E’ un “mistero della fede”, come cantiamo nella santa liturgia: il mistero di una presenza “reale” in un mondo in cui tutto sembra essere “virtuale” e dove è difficile che gli uomini si sentano “realmente” gli uni vicini agli altri. Non si parla forse dell’odierna società come di una società fatta di uomini e di donne soli? Dio ha inventato l’impossibile pur di restarci accanto con il suo corpo. Dicevano i Padri della Chiesa: “L’Eucaristia fa la Chiesa”. A questa bella espressione fa eco quella di san Tommaso: l’Eucaristia è il sacramento “quo ecclesia fabricatur”,(con il quale si fabbrica la Chiesa..) ossia il “cantiere” dove si costruisce, si edifica, si mette su il “popolo di Dio”. Sì, è l’Eucaristia che fa la Chiesa; non siamo noi a farla, non sono i nostri sforzi, non sono le nostre organizzazioni per quanto intelligenti, non sono i nostri piani per quanto aggiornati e sofisticati. E’ l’Eucaristia che fa la Chiesa. La Chiesa non si fa da sola, non si edifica da se stessa. L’Eucaristia fa la Chiesa perché ripresenta la morte e la risurrezione di Gesù. Il grande Vescovo, san Giovanni Crisostomo, diceva ai suoi fedeli: “Noi offriamo sempre il medesimo Agnello, e non uno oggi e domani un altro, ma sempre lo stesso. Per questa ragione il sacrificio è sempre uno solo”. In quel pane e in quel vino, si può quindi dire, Gesù non è presente in qualsiasi modo, ma nel modo sacrificale, nella modalità di una vita data per amore, fino alla fine. E’ realmente presente come corpo (pane) “spezzato” e sangue (vino) “versato”; ossia, nella realtà di chi dona interamente il suo corpo e il suo sangue per la salvezza di tutti, che non si risparmia in alcun modo per aiutare tutti. Nella tradizione di questo giorno, fortunatamente ancora viva in molte parti, l’Eucaristia traversa le strade e le piazze delle città e dei paesi, addobbate con i drappi e con i fiori. E’ giusto far festa al passaggio del Signore, ed è più che opportuno farlo pubblicamente. Infatti, non solo noi abbiamo bisogno del Signore, ne hanno bisogno le nostre città e i nostri paesi, l’Europa e gli altri continenti. Tutti, credenti e non credenti, abbiamo bisogno che finalmente passi in mezzo a noi un uomo come Gesù. Quel pane “spezzato” non ha bisogno di moltiplicare le parole. Parla da sé. Gesù, fattosi cibo per tutti, ci mostra sin dove giunge l’amore di Dio per noi. Ma quell’Ostia, mentre manifesta il limite estremo dell’amore di Dio, contesta il nostro modo gretto e avaro di vivere, contesta le attenzioni e le cure meticolose per il nostro corpo, contesta il nostro istinto teso al risparmio della fatica e delle energie, contesta la nostra abitudine a trattenere tutto per noi. C’è un’ulteriore riflessione da fare, di fronte ad un’altra processione che continua a traversare ogni giorno le strade delle nostre città: si tratta della processione dei poveri, degli immigrati, degli sbandati, giovani e adulti, delle persone senza lavoro, che continua a percorrere le nostre strade. Anche costoro sono il “corpo di Cristo”; è la processione delle membra ferite di quel corpo santo. Dai Vangeli sappiamo che in loro c’è Gesù, e non meno realmente che nell’Eucaristia. Siamo ben lontani, oggi, da quella evangelica sensibilità che, nei primi secoli della Chiesa, faceva rispondere a chi chiedeva dove fosse la casa del Vescovo: “Segui la fila dei poveri e la troverai”. Il legame del Signore con i poveri è inscindibile. Così pure è in certo modo inscindibile la presenza di Gesù nell’Eucaristia e la presenza di Gesù nei poveri. E’ un insegnamento unanime e costante nei Santi Padri. Giovanni Crisostomo diceva: “Se volete onorare il corpo di Cristo, non disdegnatelo quando è ignudo. Non onorate il Cristo eucaristico con paramenti di seta, mentre fuori del tempio trascurate quest’altro Cristo che è afflitto dal freddo e dalla nudità Il santo Vescovo di Costantinopoli, esiliato per la strenua difesa che faceva dei poveri, non teme di “identificare” poveri ed Eucaristia nel Corpo del Signore. Sa bene che il Cristo non è diviso. C’è anzi un legame strettissimo tra Gesù e i poveri, tra la carità e la salvezza. Il cardinale Yves Congar, con sapienza, scriveva: “I poveri sono cosa della Chiesa. Non sono soltanto sua clientela o beneficiari delle sue sostanze: la Chiesa non vive appieno il suo mistero se ne sono assenti i poveri..”La cura dei poveri, degli sradicati, dei deboli, degli umili, degli oppressi, è un obbligo che ha le sue radici nel cuore stesso del cristianesimo inteso come comunione. Non può esistere comunità cristiana senza diaconia, cioè servizio di carità che, a sua volta, non può esistere senza celebrazione dell’Eucaristia. Le tre realtà sono legate tra di loro: comunità, Eucarestia, diaconia dei poveri e degli umili. L’esperienza dimostra che esse vivono o languono insieme. Sì, l’Eucaristia fa la Chiesa e la fa vicina ai poveri.