Che cosa dobbiamo fare? - Il Mondo di Aquila e Priscilla

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Fiumi d'acqua viva...

Che cosa dobbiamo fare?
3° Domenica di Avvento anno C
(Sof.3,14-17; Is. 12,2-6; Fil. 4,4-7; Lc. 3,10-18)

Il Natale si sta velocemente avvicinando; e il mondo lo prepara, ‘alla sua maniera’, illuminando le vie di ‘stelle’, di lampadine colorate, di luci sistemate sui balconi delle case, sopra le bancarelle, soprattutto ai bordi delle vetrine dei negozi, con l’intenzione chiara di attirare la gente, dando l’idea che la felicità sia nelle ‘cose’, nel poterle possedere; o in una casa dove non manca nulla, o nei regali che ci vengono fatti, alcune volte più per convenienza che per vera amicizia. Circa la corsa ai regali, gli italiani non hanno molti soldi da spendere in questi tempi di crisi: speriamo che questo aiuti a scoprire l’essenziale del Natale: “Cristo luce del mondo”. Per quello che riguarda i regali, penso che il più bello sia quello di una relazione sincera, autentica, concretamente affettuosa, da donare ogni giorno della nostra esistenza, e non solo a Natale, alle persone non amate o poco amate. Sarebbe bello che ognuna/o di noi, o in ogni famiglia, ci fosse un non amato/a da amare. Tutto il resto o è esteriorità, o tradizione logora e vecchia destinata a consumarsi con il tempo, o vanità messa sù per il tempo delle feste e che poco aiuta a capire il grande Dono che Dio ci sta facendo: il Suo Figlio Unigenito, Gesù, venuto in mezzo a noi nella semplicità, nella povertà, nella essenzialità di una casa povera di cose, ma con persone capaci di amare: Maria, Giuseppe, i pastori, la gente semplice, che hanno suscitato fascino e ammirazione senza tanta pubblicità… È Gesù il vero e solo Dono di cui l’uomo, ogni uomo, ha bisogno...anche se non lo sa o non vuole ammetterlo. Il resto è cornice di festa che può fermarsi lì, senza farci salire di un palmo verso le stelle che fanno corona al Dio tra noi e con noi. Diciamoci la verità: siamo davvero stanchi di feste che non sono feste; stanchi di correre dietro a mode che sono illusioni di poco tempo; stanchi forse del vuoto che c’è in noi o della pesantezza delle nostre colpe; stanchi di non sapere se qualcuno davvero esiste, in cui porre fiducia. Ma non sappiamo come scrollarci di dosso questa stanchezza, che può diventare pericoloso cancro dell’anima, quando questa ha bisogno di quella pienezza di salute che solo Dio può dare. Per questo, oggi, siamo sollecitati ad attendere nella gioia delle opere buone, frutto della nostra conversione, il grande Dono del Padre: Cristo Gesù; coltivando, nella preghiera, le virtù della pazienza e della speranza: “Fratelli, rallegratevi nel Signore, ve lo ripeto ancora, rallegratevi. Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti: e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo” (Fil 4, 4-7). Mi ha scritto un coraggioso giovane incontrato quest’anno a Lourdes “Mi capita di frequentare e confrontarmi con giovani di varie parrocchie e, spesso, anche con giovani che non le frequentano proprio, ma mi accorgo che ovunque la sete e la fame di Dio è tanta…Tutti ci attendiamo risposte da Dio e non ci diamo pace, perché non vediamo o non vogliamo vedere. Dio si manifesta come Padre e come Madre, in ogni piccolo gesto che viene donato al più piccolo fratello, con quella affabilità e premura quali solo un padre ed una madre sanno esprimere. Siamo stanchi di vedere anche preti, suore, gente di Dio correre dietro a tutto ciò che il mondo ritiene importante per farsi valere, creando quella velenosa opinione che essere preti sia un buon mestiere. I giovani cercano testimoni, gente controcorrente, che mostri chi è Gesù. Siamo stanchi di vedere la gente soffrire nella disperazione della ricerca di un lavoro dignitoso dove ogni diritto viene riconosciuto e che invece viene puntualmente lasciata da sola a lottare contro questo pessimo sistema del mondo del lavoro e magari senza una parola di conforto. Siamo stanchi di sentirci avviliti e lasciati soli nei nostri guai. E’ proprio questo che vorremmo dagli uomini di chiesa: che sappiano scendere nell’animo di quel fratello che in quel momento ha bisogno per condividerne la sofferenza e dirgli con le parole e con mille gesti: “Non sei solo!” Insomma è dall’esempio che può nascere un vero legame tra il giovane e la Chiesa e di lì, poi, risalire a Dio. Noi giovani abbiamo bisogno di persone che ci rincorrano per strada a fermarci se stiamo prendendo una strada sbagliata; persone che ci siano di conforto costantemente quando una disgrazia ci colpisce, riuscendo ad immedesimarsi e a vederci realmente come dei fratelli, perché ai fratelli non si dà il contentino della parola ad effetto e poi lo si manda a casa, ma un fratello non lo lasci un istante e ti preoccupa, anche se semplicemente non riesci a prendere sonno, per il dramma che vive”. Non posso che ringraziare questo giovane che mi scrive e che parla a nome di tanti giovani. È bello raccoglierne lo sfogo, interrogandoci e chiedendoci, come le folle, i pubblicani, i soldati del Vangelo: che cosa dobbiamo fare? (Lc.3,10-14)


Don Roberto Zambolin


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