Cercasi educatori - Il Mondo di Aquila e Priscilla

Vai ai contenuti
Fiumi d'acqua viva...

Cercasi educatori…
( At.2,14a.36-41; sal.22; 1Pt.2,20b-25; Gv.10,1-10)
4° Domenica di Pasqua

La più antica rappresentazione di Gesù Buon Pastore, si trova nelle Catacombe di S. Callisto, a Roma: un giovane pastore, imberbe, secondo gli usi della Roma antica, porta sulle spalle una pecora e la sostiene con una mano, mentre con l’altra regge un recipiente pieno d’acqua per dissetarla. Questa immagine, forse, non comunica molto alla nostra cultura occidentale contemporanea, ma era ben chiara al popolo di Israele e agli uomini di quel tempo. Il bestiame, e in particolare modo le pecore e le capre, costituivano gran parte delle risorse di allora, insieme ai prodotti che venivano come strappati alla terra a causa del duro lavoro: grano, vino, olio. Certo, se ci pensiamo bene, Gesù è un pastore tutto speciale: Egli non fa quello che fanno i normali pastori come tosare la lana, togliere gli agnelli alle madri, venderli, sgozzarli, uccidere le stesse pecore per farne cibo, per utilizzarne le pelli, per sacrificarle nei rituali religiosi. L’amore di questo pastore fatto di conoscenza, di misericordia, di tenerezza rivela il grande, sconfinato amore di Dio verso l’umanità: “Il Signore come un pastore fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul seno e conduce, pian piano, le pecore madri”. (Is. 40,11) Gesù ama le sue pecore, le nutre con la sua Parola, si rende vicino con la sua voce, le affida ai custodi, alla sua Chiesa, perché ne abbiano cura, soprattutto durante la notte, nei momenti di buio, di crisi, di tenebre. L’evangelista, poi, aggiunge ulteriore ricchezza al tema del pastore, aggiungendo dei connotati che ci aiutano a scoprire meglio l’identità di Gesù: il pastore entra per la porta e chiama per nome le sue pecore. Una traduzione più precisa dal testo greco sarebbe: chiama ognuna con il suo nome, secondo l’usanza dei beduini. Chiamare per nome vuol dire conoscere, che nel contesto semitico è sempre frutto di esperienza; si tratta di una conoscenza intima, personale; chiamare per nome è conoscere l’anima della persona, il volto interiore, del quale quello esteriore, a volte, è trasparenza. Il nome, per la cultura ebraica, è ciò che definisce un soggetto e che lo rende unico nella sua storia, nella sua vita. Dare il nome, poi, era segno anche di appartenenza. Il pastore dà il nome alle pecore, perché sono sue, appartengono a lui. La persona, pertanto, non può essere né alienata, né venduta: appartiene solo al suo Signore. “Non temere perché io ti ho chiamato per nome; tu mi appartieni” (Is.43,1) Appartenere a Dio significa dunque estrema vicinanza, famigliarità, confidenza con Lui. E’ il figlio che appartiene al padre, come è il padre che appartiene al figlio. “ Dio è con noi su ogni nostro cammino: nella fede e nel peccato, nella persecuzione, nello scherno e nella morte” (D.Bonhoeffer). Ancora: Gesù è un pastore che non inganna, non finge. Infatti entra nell’ovile dalla porta; si distingue dal ladro e dal mercenario, che cercano di penetrarvi di nascosto per rubare e per togliere la vita alle pecore. Gesù si presenta non solo come nostra guida, ma anche come nostro modello; soprattutto come modello supremo di ogni educatrice, di ogni educatore. Genitori, docenti, sacerdoti, uomini di governo, tutti coloro che, a vario titolo, sono chiamati ad assumere delle responsabilità nella Chiesa e nel mondo, sono “pastori”, chiamati cioè ad essere guide, accompagnatori degli uomini. Non è sempre facile educare con lo stile di Gesù, fatto di bontà, di pazienza, di mansuetudine, coltivando l’attesa e la fiducia verso tutti, rispettando i ritmi di ciascuno: della pecora forte, come della debole; della sana e di quella malata, della pecora serena e di quella ferita… Non è sempre facile educare “dando la vita” con generosità, senza interesse, come ha fatto Cristo, assumendo tutte le fatiche della missione educativa. Non è facile educare partendo dalla persona innanzitutto, e non da noi stessi; le pecore, infatti, non sono nostre, appartengono al Signore! Non è facile educare, formando alla autonomia, alla indipendenza nella vera libertà e nella maturità di ciascuna persona, educare al senso critico e al discernimento spirituale, perché le pecore non cadano preda di ladri e di mercenari dei quali, ahimè, purtroppo è infestata questa nostra società. Soprattutto il vero educatore “ cammina innanzi a loro” (Gv.10,5) non perché è più bravo, ma perché l’esempio vale molto di più di tante parole. Chi ha un compito formativo, educativo, chi ha una missione pastorale, deve poter dire, con i fatti soprattutto, quello che ha detto Gesù: “Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime”(Mt.11,29). Come facciamo a sapere se chi ci guida è vero pastore oppure è un ladro o un brigante? Guardiamo se ha gli stessi sentimenti di Gesù , o quelli degli scribi e dei farisei. I racconti della passione, conoscono due figure, ben note, una di ladro e l’altra di brigante: quella di Giuda e di Barabba. Il primo “era ladro perchè non gliene importava nulla dei poveri, ma teneva la cassa” (Gv.12,6) cioè badava solo ai propri interessi; la seconda è quella di Barabba. “ Barabba era un brigante” (Gv.18,40) perché usava la violenza e l’oppressione. Purtroppo può capitare anche ai pastori, ai sacerdoti della chiesa di Dio e ai vari educatori, di assumere il volto di Giuda o di Barabba: di impadronirsi delle pecore, quasi fossero loro proprietà, di trattare le persone senza aver molto rispetto, o cura delle loro situazioni di vita; oppure di piegarle, subdolamente, alle proprie idee, alla propria visione di vita, se non addirittura costringerle,in vari modi, a fare scelte contrarie alla propria coscienza. L’educatore cristiano ha un solo scopo: quello di far incontrare le pecore con il Signore, con pazienza e amorevolezza, di farle passare attraverso la porta bella, perchè buona, chiamata Gesù Cristo. Infatti, si entra in Gesù per imparare a conoscere e ad amare il Padre; si esce da Gesù per conoscere e amare i fratelli.


Don Roberto Zambolin


Stampa Ritorna


Copyright © Il Mondo di Aquila e Priscilla By Salvo Massa
Torna ai contenuti