Attendere vigilanti - Il Mondo di Aquila e Priscilla

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Fiumi d'acqua viva...
Attendere vigilanti
1° Domenica di Avvento anno A
(Is. 2,1-5;salmo 121;Rm. 13,11-14; Mt. 24,37-44)

Adesso lo sappiamo bene: ciò che sta a cuore a nostro Signore non è il “quanto si vive”, ma il “come si vive”; non è tanto sapere quando avverrà la fine della nostra vita, ma tendere “al Fine (télos) della nostra vita: Lui, il suo Amore, il suo Regno.(Mt. 24,3-51).Vivere, infatti, non è solo mangiare, bere, sposarsi, lavorare come si faceva al tempo di Noè e come si fa anche oggi. Ma vivere è anche attendere, desiderare, prepararsi ad accogliere Qualcuno che già è in mezzo a noi e ci viene incontro. Vivere è, soprattutto, amare e lasciarsi amare. Perché l’Amore è la vita! Quello di Dio, verso di noi, innanzitutto.(1Gv.4,19) Amare e lasciarsi amare da Dio è la radice del nostro essere e del nostro operare. Dirà Gesù a proposito della sua venuta nel mondo: “ Io sono venuto perché voi abbiate la vita e l’abbiate in abbondanza”(Gv. 10,10) Non si vive se ci si accontenta di tirare a campare, giorno dopo giorno, così come capita, quasi subendo la vita. Per vivere bisogna avere delle motivazioni, degli scopi. Più alto è il fine, più si dona se stessi ad esso, più ci si mette in gioco, per raggiungerlo, tutto si vende per avere la perla preziosa. (Mt. 13,45) Il tempo liturgico di Avvento non è solo tempo legato al Natale è, innanzitutto, legato alla motivazione più vera del nostro vivere in questa storia che passa, che avanza: l’incontro con il Signore, con il Figlio dell’uomo. (Mt. 24,39) Vivere attendendo questo incontro, prepararsi ad esso, desiderarlo con tutto il cuore vale più di tutto quello che possiamo accumulare in questo mondo, come ci ricorda Gesù nella parabola del ricco stolto.(Lc. 12,16-21) E per prepararsi bene alla venuta del nostro Signore, quella nella gloria, che trasformerà la storia del mondo, è importante, come diceva S. Bernardo, incontrarLo nella venuta intermedia, che è la nostra esistenza. La prima infatti, è quella di Gesù nella carne, l’ultima è quella alla fine dei giorni, quando cieli e terra passeranno, quella intermedia è l’oggi; in questo nostro oggi Gesù continua a venire, intercetta la nostra vita: Egli ci raggiunge nella Parola, nel fratello, nei sacramenti, nella storia, nella vita della Chiesa. Cogliere fin d’ora i segni della sua presenza, dentro la vita di ogni giorno, è alzare il capo e desiderare l’eterna beatitudine della sua comunione con noi; è attendere l’invito a quel banchetto di gioia e di festa che “Dio preparerà per tutti i popoli; un banchetto di grasse vivande, di vini raffinati, un banchetto di cibi succulenti (Is. 25,6). Per questo, la Liturgia del tempo di Avvento si avvale di una parola: vigilate. Il verbo greco corrispondente (gregoreite) significa: “stare in agguato”, pronti, perché non ci facciamo sfuggire la preda, che è la meta della nostra vita. Quasi a dirci che ogni istante che viviamo è carico di valore salvifico. In famiglia, al lavoro, nella scuola, nelle relazioni affettive, nel tempo libero, possiamo già riconoscere i segni di un Dio che passa, che è venuto, che viene e che verrà, dell’Alfa e dell’Omega. I nostri giorni, i nostri anni, non sono solo il tempo dell’uomo, ma soprattutto, sono il tempo di Dio, meglio sono il nostro tempo per Dio. Se non siamo vigilanti e ci abbandoniamo “alle gozzoviglie e alle ubriachezze, alle impurità e alle licenziosità , alle contese e alle gelosie” (Rm. 13,13), il suo arrivo ci coglierà di sorpresa, impreparati, verrà come un ladro di notte. (Mt. 24,43) E’ sempre in agguato, in noi, una presunzione, che non ci fa guardare avanti, anzi che spegne l’attesa: è la presunzione di autosalvezza: pensare che in noi vi sia la capacità di controllare tutto, di fare tutto, di riempire tutti gli spazi anche quelli degli altri, di legare opere grandi al nostro nome, ai nostri soldi, di farci ammirare per le nostre abilità manageriali e organizzative. Gesù ci avverte: state attenti, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta delle vostre belle costruzioni, fossero anche quelle religiose… Tutto questo ordine di cose passerà, e se quanto abbiamo fatto non avrà il profumo della carità, morirà con noi. Tutto verrà spazzato via, come al tempo del diluvio (Mt. 24,39); allora solo Noè, uomo saggio e previdente, ha costruito l’unica cosa che occorreva fare: l’arca per salvarsi. Anche noi dobbiamo mirare all’essenziale nella vita, saper distinguere il provvisorio dall’eterno, ciò che rimane, da ciò che passa. Quale è l’arca nella quale entrare fin d’ora per non farci cogliere di sorpresa, per poter continuare a vivere quando tutto sarà passato? E’ l’arca della Nuova Alleanza, è Cristo. Occorre entrare in Cristo, con tutto noi stessi, e in Cristo osservare e discernere tutto il resto: la nostra vita, quella degli altri e quella complessa del mondo; la morte del corpo e quella dell’anima, il presente e il futuro. Chi è in Cristo, infatti, diventa nuova creatura (2Cor.5,17) e si sta preparando nel modo migliore per la vita eterna, perché Cristo è la
vita eterna che da sempre è con il Padre e si è fatta visibile a noi (1Gv.1,2).
Don Roberto Zambolin

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