Amore...ma di quello!
30° Domenica del Tempo Ordinario anno A
(Es.22,20-26;sal.17;1Ts. 1,5c-10; Mt. 22,34-40)
Maestro, qual è il più grande comandamento della legge? ".
La domanda è volutamente insidiosa. Lo scriba, infatti, da buon studioso, sapeva perfettamente che, nella tradizione ebraica, il principale comandamento era l'osservanza del sabato: osservanza rispettata da Dio stesso (Gen 2,3; Es 20,11).Rispettare lo “shabbat” equivaleva all'adempimento di tutta la legge e la sua non osservanza comportava la pena di morte (Es 31,14). E Gesù, durante il sabato, aveva guarito degli infermi…perché l’amore per le persone viene prima della legge del sabato.(Mc.2,27) Il sospetto di trovarsi davanti ad un eretico era ben radicato nella mente del saccente dottore della Legge. Ma Cristo non era un pollo..Per l'ennesima volta cambia le carte in tavola e volge la situazione in suo favore. Ignora la domanda sui comandamenti e rilancia proponendo il cuore della fede ebraica che ogni buon credente recita, anche oggi, ogni giorno. Si tratta dello "shemah Israel" riportato in Dt 6,5: "Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima e tutte le tue forze." Intenzionalmente, invece di "con tutte le tue forze", Gesù dice "con tutta la tua mente", in quanto con "forze" si intendevano i beni materiali dell'uomo, ciò che gli dava forza, consistenza, onore, rispettabilità. La forza era il suo avere; mentre "mente" indica la globalità dell'essere umano, ciò che lui è nel pensiero, nel suo modo di pensarsi, di pensare la vita, di pensare Dio e gli altri.
Da notare che nella versione greca si ha “nel cuore”. Amerai il Signore tuo Dio “in tutto il tuo cuore”: per dire che l’amore non è una norma, una regola, un dovere, ma una relazione con una persona vivente che deve pervadere tutta la persona. Dio non deve restare esterno a noi, ma deve abitare in noi, nella profondità del nostro essere, della nostra vita. Lo diceva anche Agostino: “ In interiore nomine habitat Veritas”, dove la “Veritas” dell’uomo e dell’Evangelo è proprio l’Amore che tutto ci pervade.
Solo se è “in interiore homine”, il suo Amore può diventare il motore del nostro operare e della carità verso il nostro prossimo. Per questo nel rispondere allo scriba Egli aggiunge un precetto contenuto nel Levitico (19,18): "Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore". Questo comandamento avrà in Cristo il suo più alto punto di riferimento.
Infatti, la Legge antica ha per modello d'amore l'individuo (ama il prossimo come te stesso"), mentre per il cristiano il termine di riferimento non è se stesso, ma Cristo stesso (amatevi come io vi ho amato", Gv 13,34). Ancora sant'Agostino: «Sempre, in ogni istante, abbiate presente che bisogna amare Dio e il prossimo: Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente, e il prossimo come se stessi. Questo dovete sempre pensare, meditare, ricordare, praticare e attuare. Amando il prossimo per amore di Dio e prendendoti cura di lui, tu cammini. Aiuta, dunque, il prossimo con il quale cammini, per poter giungere a Colui con il quale desideri rimanere” .
L’amore vero non è fatto solo di sorrisi, di gentilezze, di buone maniere, di aiuti materiali. Cose belle e importanti, ma l’amore vero è fatto di realtà ben più essenziali e sostanziose: l’ascolto dell’altro anche quando è noioso e pesante, l’accoglienza di chi è diverso da noi e vorremmo cordialmente allontanare, la riconciliazione sincera con chi ci ha offeso, leggendo più nel suo cuore che nelle sue azioni; la premura nella guarigione delle ferite dei fratelli, il lasciarsi mettere in questione nella relazione con gli altri, l’aiuto pronto verso i poveri, verso ogni povero e ogni forma di povertà, fisica, psichica, morale e spirituale, facendo quanto si può per il ben-essere della
persone. Mi chiedo: è possibile praticare una carità così forte, senza un riferimento Alto che fondi la nostra vita? Credo proprio di no! Per questo il pio israelita parlando del primo comandamento dell’Amore verso Dio, raccomandava:“Questo comando lo terrai fisso nel cuore, lo legherai alla tua mano come un segno, lo terrai come un pendaglio davanti ai tuoi occhi“(Dt.6,5) Non si tratta, infatti di fare la carità (potrebbe essere addirittura umiliante e perfino offensivo…) quanto di essere carità! Tutto deve essere fatto per amore di Dio e del prossimo, dalle azioni più normali di ogni giorno, in famiglia o sul lavoro, alle attività più impegnative di carattere civile, sociale o ecclesiale. Per prossimo Gesù non intende, come i suoi ascoltatori, solo chi fa parte della propria nazione, della propria razza o religione, ma ogni uomo, senza alcuna discriminazione, con l'unica preferenza per chi è nel bisogno, nella necessità.
Per questo Gesù ha narrato la parabola del buon Samaritano che si ferma a soccorrere l'uomo ferito, sul ciglio della strada, senza considerare a quale categoria esso appartenga; per questo il Vangelo ci riporta le parole di Gesù giudice: avevo fame, avevo sete, ero nella necessità, e mi avete dato da mangiare, da bere, mi avete aiutato; quando? Quando lo avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, lo avete fatto a me! Il Concilio Vaticano II ci esorta: "Dovunque c'è chi manca di cibo o di bevanda, di vestito, di casa, di medicine, di lavoro, di istruzione, dei mezzi necessari per condurre una vita veramente umana…ivi la carità cristiana deve cercarli e trovarli, consolarli con premurosa cura e sollevarli, porgendo aiuto" (Apostolicam Actuositatem n.8 ).