AMARE ANCHE NELLA DEBOLEZZA
BATTESIMO DEL SIGNORE
(Is. 42, 1-4. 6-7; Salmo 28;Atti 10,34-38;Mt. 3,13-17)
ll Battesimo di Gesù è un evento così importante per la sua storia e per la nostra, che tutti e quattro gli evangelisti, seppur con sfumature diverse, ne parlano. Due sono i motivi di tale importanza. Il primo ci ricorda fino a quale punto egli sia diventato solidale con l’umanità: al punto tale da condividerne, seppur nelle sue conseguenze, anche il male, il peccato; il secondo motivo è la sua Missione. Al fiume Giordano Gesù viene presentato come Colui che Dio ha inviato per rivelare alle donne e agli uomini di tutti i tempi il suo cuore e la sua Misericordia di Padre. Gesù è tra i peccatori. Giovanni si trova di fronte a Gesù che gli si fa incontro per essere immerso nelle acque del Giordano. Con prontezza Giovanni gli dice: “ Io ho bisogno di essere battezzato da te, e Tu vieni a me?”(Gv. 3,14) E Gesù risponde: “Lascia fare per ora….”(Mt. 3,15) Ecco chi è il Figlio di Dio: colui che cerca la comunione con il popolo; Colui che è comunione con il Padre e lo Spirito Santo, ora diventa comunione con tutti, in particolare con i peccatori. Infatti Gesù si inserisce nelle relazioni comunitarie rifiutando scorciatoie, privilegi, senza mettersi in mostra con gesti eclatanti. Lo troviamo, invece, nella fila dei peccatori, perché tali si riconoscevano coloro che si accostavano al Battista per essere immersi nel fiume Giordano. Gesù ha voluto condividere il percorso di ogni persona perché solo così egli può prendere su di sé i peccati del mondo. Se Egli non si fosse fatto uno di noi, la sua venuta nel mondo sarebbe stata una sorta di “scena”, di “finzione teatrale”, “una comparsa”. Gesù invece ha voluto rivestirsi della nostra carne fatta di fragilità, di debolezze. E collocandosi tra i peccatori ha riconosciuto da una parte la grandezza del corpo e della umanità, doni di Dio, e dall’altra la precarietà e i limiti di questa. Ha accettato in spirito di umiltà la condizione di ogni uomo, sottomettendosi a Giovanni Battista, profeta del suo tempo. Gesù ci insegna ad accogliere tutto quello che fa parte della nostra umanità: le sue risorse fisiche, psichiche e spirituali e dall’altra a riconoscere con umiltà, onestà e serenità le nostre cadute e nostra vulnerabilità. Tutti facciamo parte dell’umanità peccatrice, bisognosa di purificazione e di guarigione, ma tutti siamo amati dal Signore, siamo sue creature e in Cristo suoi figli. In questo consiste la “giustizia di Dio”, quella che si deve compiere ( Mt. 3,15) e che Gesù è venuto a realizzare. La giustizia di Dio è il mantenimento delle sue promesse, è la fedeltà alle creature da Lui amate, è il dono della sua vita, è la sua Misericordia per tutti. La giustizia di Dio non è innanzitutto dare a ciascuno quanto spetta in base alle opere buone compiute, ma è sollecitudine per il suo popolo, premura per la sua vita, coraggio nelle difficoltà, pazienza nelle prove. La giustizia di Dio è tentare il tutto per tutto per salvare ogni persona. Ora come Dio è giusto nel suo relazionarsi con il popolo, così l’uomo è giusto quando prende sul serio le relazioni comunitarie facendosi carico dei più deboli, degli ultimi dei poveri: nel corpo e nello spirito. Questa è stata la missione di Gesù e questa è anche quella del suo discepolo, egregiamente descritta dall’atteggiamento di quel servo del quale ci parla il profeta Isaia nella prima lettura:“ Non griderà, né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce. Non spezzerà una canna incrinata, non spezzerà uno stoppino dalla fiamma smorta; proclamerà il diritto con verità”(Is. 42,2-3) Sono questi elementi necessari per ogni forma di servizio alle persone: unire la sincerità e la chiarezza nel proclamare la verità, con la comprensione e l’attenzione alle persone. Avere fiducia e speranza in tutti; non escludere nessuno dal numero dei salvati, credere che Dio ha messo in ognuno potenzialità sufficienti per riprendere da capo il proprio percorso umano e spirituale. Non ritenere nessuno irrecuperabile al bene, caso mai mettere in questione se stessi di fronte alla perdita del prossimo. Forse non siamo ciò che dovremmo essere, forse ci fidiamo poco del Signore, forse ci manca la passione o la pazienza della evangelizzazione, forse non abbiamo i tempi di Dio, forse non abbiamo sufficiente misericordia oppure confidiamo troppo in noi stessi, nei nostri schemi, nelle nostre certezze. Non dobbiamo soffiare su una candela che si sta spegnendo, caso mai trovare ogni mezzo per ravvivarne la fiamma; mai usare forme di violenza, nemmeno quella verbale, nella evangelizzazione o nel dialogo con i fratelli, mai alzare la voce… E quando tutto sembra perduto, una cosa possiamo e dobbiamo fare: continuare a pregare per coloro che stanno precipitando, amandoli ugualmente e forse ancora di più. Solo Dio conosce l’intimo dei cuori. Noi dobbiamo sempre fermarci sulla soglia: attendere e ascoltare, sperare e adorare, con rispetto, il mistero presente in ogni vita.