Alla ricerca di un amore vero
3° Domenica di Quaresima anno A
(Es. 17,3-7; sal. 94; Rm. 5,1-2.5-8;Gv. 4,5-42)
In questa terza domenica quaresimale siamo invitati a scendere dal Tabor, dal monte della profonda contemplazione di Gesù, dal dialogo spirituale con l’Amico del cuore” che ci fa dire: “Signore, è bello per noi stare qui!” per fare i conti con la realtà del quotidiano, con la vita di tutti i giorni. E’ lì, fra la gente, in mezzo alle difficoltà delle persone, alle loro ferite, alla complessità dei rapporti umani che noi dobbiamo portare la bellezza di Gesù Cristo, il suo volto trasfigurato capace di trasfigurare l’umano anche più difficile e sporco, presente nelle persone. Tutte le volte, che rileggo questo racconto della samaritana presentatoci da Giovanni, mi ritornano alla memoria le parole del filosofo scrittore Emil Cioran che faceva osservare ai cristiani di aver compiuto un delitto estremo: di aver devitalizzato e quasi essiccato la potenza generatrice del Vangelo trasformando il cattolicesimo in un galateo amorfo, in una serie di norme e di codici morali, anzichè in una fonte genuina di stupore e di scandalo capace di fecondare cervelli ed amori. Gesù e la Samaritana sono due persone vive e dal cuore caldo capaci di disintegrare gli stereotipi comportamentali ed i pregiudizi religiosi ed instaurare fra loro una relazione schietta, sincera e libera. Un buon ebreo, infatti, per nessun motivo al mondo, poteva fermarsi ad interloquire con un immondo samaritano: ne andava di mezzo la purità cultuale! Se poi si trattava di una donna la storia cominciava ad essere equivoca. Se a questo aggiungiamo che si trattava di una persona piuttosto allegra e disinibita nei suoi comportamenti, come la samaritana, sfociamo inevitabilmente nello scandalo. Fra ebrei e samaritani c'era un odio viscerale che risale a secoli prima. La reciproca ostilità, e Gesù e la samaritana lo sanno benissimo, aveva raggiunto l'apice al momento della grave profanazione del Tempio di Gerusalemme da parte dei samaritani che, nel 6-9 d.C., avevano sparso ossa umane bloccando così la celebrazione della Pasqua ebrea. Il vangelo di Luca (9,54) ci dice che lo stesso Giovanni non li tollera quando chiede a Gesù di far scendere su di loro un fuoco dal cielo che li incenerisca. Insomma, il clima è più favorevole allo scontro che all'incontro. La disposizione d'animo è più predisposta ad attingere… veleno che acqua fresca e dissetante. Il tono verbale della donna è secco e scontroso: "Come mai tu che sei ebreo chiedi da bere a me che sono samaritana?". Anche Gesù non scherza. Lui che mai va a indagare nella privacy altrui le elenca i cinque mariti, più amante al seguito. C'è motivo per una baruffa tra i due con tanto di legnate. Perché questo non si verifica? Perché si tratta di due persone intelligenti. La samaritana comprende che Gesù non la giudica per i suoi cinque mariti. Capisce che il termine usato da Gesù, Baal, vuol dire sì marito, ma anche divinità. Gesù non si riferisce alle sue storie amorose, ma alle cinque divinità a cui i samaritani avevano eretto templi su altrettante colline della regione. Entrambi dialogano nella verità, nella sincerità, nell’ascolto e nella reciproca fiducia e accettazione: senza pre-comprensioni di alcun genere. E si capiscono; Gesù, a sua volta, apprezza una donna che si mette sinceramente in discussione, in ricerca del senso della vita, donna assettata di capire, di amare, donna che cerca aiuto…per le necessità del suo cuore, soprattutto! E Gesù, infatti, piano piano, ma con decisione sempre maggiore, parla al suo cuore e la conduce all’incontro con Lui. E quella donna, alla disperata ricerca di senso e di un vero Amante, trova in Cristo l’acqua viva per la sua sete. Capisce che non è il numero degli amanti a saziare il cuore, siano essi cose o persone…Anzi, il suo cuore dopo un primo veloce appagamento, si inaridisce ancora di più come è arido e assolato il terreno della Palestina in certi mezzogiorni d’estate; e lei si vede costretta ad attingere continuamente acqua ad un pozzo che non la disseterà mai pienamente. Proprio come facciamo anche noi. L'uomo moderno è insoddisfatto, perché possiede una sete mai saziata. Tanto più insoddisfatto, quanto più ha a disposizione mezzi e risorse, che egli usa a proprio danno. L'uomo ha sete di pace, di serenità, di tranquilla convivenza. L'uomo ha sete di fratellanza, di unità,di comunione di intenti, di attività. L'uomo ha bisogno, soprattutto di ideali, grandi e sublimi, fatti a misura d'uomo. Ideali sconfinati come è sconfinata la grandezza del suo spirito pensante e aperto all'eterno. Su questa sconfinata sete dell'uomo, il Vangelo è proposta di acqua viva, pulita, fresca, rigenerante, purificante, tonificante; è proposta di vita umana e umanizzante; è un invito a mettersi in questione e a volare alto. Invece che facciamo? Di fronte a tale proposta di acqua viva ci tiriamo indietro, quasi che credere nel Vangelo di Cristo, avessimo paura di perdere qualcosa. Preferiamo tenerci la nostra acquetta putrida….poveri noi! E così il secchio che ci troviamo tra le mani, anzichè assolvere la sua vera funzione: quella di attingere gli uni dagli altri la bellezza della comune figliolanza con il Padre, e le ricchezze che il suo Amore ha posto nelle reciproche diversità, si trasforma in un oggetto contundente da sfasciare sulla zucca di coloro che non la pensano o non agiscono come noi.