Credere40 - Il Mondo di Aquila e Priscilla

Vai ai contenuti
LA FEDE IN GESU' CRISTO


GESU' DIVINO RIVELATORE
I segni del soprannaturale
IL CONTESTO GENERALE

I segni che attestano la soprannaturalità della persona e dell'opera di Gesù, ossia i miracoli e la risurrezione, trovano una preziosa conferma nel contesto storico generale in cui si inseriscono. Gesù infatti si colloca al punto d'incontro di due grandi società, Israele e la Chiesa, dotate di caratteri molto particolari, spesso unici, che lasciano trasparire il trascendente.occupa in esse un posto di primo piano. Il suo Vangelo, rifiutato dalla maggioranza del popolo eletto, segna infatti una svolta radicale nella storia giudaica, mentre è all'origine della Chiesa.è quindi questo o quel miracolo « da solo » a rivelarci la sua divinità. Ce la rivelano i miracoli e la risurrezione inseriti nel contesto di tutta la sua vita m, e la sua vita inserita in quel « miracolo » che è storia d'Israele e della Chiesa.

Israele


La storia di questo popolo è una storia straordinaria, unica nel suo genere.
Anzitutto esso è il solo, tra i popoli antichi, che fin dal secondo millennio avanti Cristo abbia professato la fede in un unico Dio. Tutte le religioni di questa parte del mondo e di questo tempo sono politeistiche.Israele, un piccolo popolo di pastori, piuttosto rozzo, ai margini delle grandi correnti del pensiero, fa eccezione e, precorrendo i tempi, proclama la sua fede in un Dio unico, immateriale e trascendente. Si tratta di un'idea che farà degli ebrei un popolo molto singolare agli occhi dei suoi vicini e dei suoi conquistatori, spesso incompreso, e per questo perseguitato.
Altro dato tipico è il particolare legame che unisce questa nazione al suo Dio, un legame che fin dall'inizio viene chiamato « alleanza » (Gn 15,18), e ritenuto tanto intimo da venire assimilato a quello che intercorre tra uno sposo e una sposa Ger 2,2; 3,1; Os 2,16-17). Israele appartiene al suo Dio; la sua storia è opera di Dio, che lo guida, lo sorregge e lo salva malgrado i suoi errori e le sue infedeltà. Ciò che di grande e di buono compie il popolo ebreo è dovuto all'intervento di Dio.
Dio infatti è l'unico « santo » in Israele, tant'è vero che anche i grandi di questo popolo, i suoi capi, i suoi eroi, i suoi re, sono presentati dalla Bibbia come dei peccatori. Anche i più famosi tra loro, come Mosè (Nm 20,12-13), Davide (2 Sam 11,2ss) e Salomone (1 Re 11,1-6), hanno peccato, e il loro peccato non è stato nascosto agli occhi del popolo. Tutto questo è in netto contrasto con la prassi di ogni tempo, e soprattutto con quella dell'antico Oriente, che era solito magnificare con lodi smisurate le azioni dei propri governanti, spesso esaltandoli come divini.
Ora, possiamo chiederci, donde ha tratto Israele questo senso della trascendenza e santità di Dio e insieme della propria pochezza, così originale, così contrario all'universale tendenza degli uomini a esaltare se stessi e i propri « grandi »? altro carattere peculiare d'Israele è il profetismo. Di fronte alle difficoltà che il popolo incontrava a mantenersi fea una religione così singolare, sorsero degli uomini che parlavano in nome e per autorità di Dio: i profeti. Essi aiutarono Israele a conservare la fede nell'unico Dio, a sottrarsi a forme aberranti di religiosità, presenti in tutti i popoli limitrofi (Dt 12,31; 18,10; Ger 19,5), e ad affinare la sensibilità morale. Essi inoltre confortarono il popolo nei momenti difficili della prova e della sconfitta con la promessa di un salvatore: il Messia.
Il  messianismo è un altro aspetto originale del mondo giudaico. Solo in esso infatti troviamo l'attesa fiduciosa, protrattasi per secoli, di un salvatore che operi in nome e per autorità di Dio. Questa attesa messianica si fa sempre più viva col passare del tempo e giunge al culmine negli anni che precedono e seguono la vita di Gesù. Non era soltanto l'insofferenza per la dominazione straniera a render così viva e appassionata l'attesa del Messia; era ancor prima l'interpretazione delle profezie bibliche (Ger 25,11-12; 29,10; 2 Cr 36,20-23; Dn 9,2).
Ora, questa attesa di un salvatore sembra sfociare proprio nella persona di Gesù.
Infatti, negli anni che seguono la sua venuta, Israele subisce una trasformazione profonda. Quarant'anni dopo la morte di Cristo, perde ogni parvenza d'indipendenza, perde la propria terra e viene disperso tra le altre nazioni, la città santa è distrutta e con essa il tempio e il sacerdozio.
E questa sconfitta del popolo eletto si connette strettamente col rifiuto di Gesù, con la sua incapacità di comprendere « la via della pace », di apprezzare « il tempo in cui era stato visitato»  da Dio. Il tenace attaccamento al sogno di un messianismo politico, che portò gli ebrei a respingere il « lieto annuncio » di Cristo, si rivelerà infatti rovinoso. Dio non combatterà al loro fianco, come speravano, e saranno definitivamente battuti da Roma.à così per Israele la possibilità di realizzare un primato politico-religioso mondiale. D'ora in poi s'imporrà al mondo il Nuovo Israele, la Chiesa, ma sarà su di un piano puramente religioso.


La Chiesa


Come Israele, la Chiesa ha degli aspetti peculiari che lasciano stupiti. Essi, in ultima analisi, sono riducibili alla sproporzione spesso ricorrente tra causa ed effetto, tra cose fatte e mezzi usati per farle, che induce a pensare a un'assistenza particolare di Dio.
Questo appare con particolare evidenza ai suoi inizi. Sappiamo infatti che la Chiesa si diffuse rapidamente in tutto il mondo antico. Nata a Gerusalemme il 30 o il 33 dopo Cristo, la troviamo già impiantata ad Antiochia, la terza città dell'impero, verso l'anno 40 (At 11,19-21). A Roma, nel 49, la sua presenza si fa già sentire, mentre nel 64, al tempo della persecuzione di Nerone, i cristiani di Roma erano « una folla ».
La velocità di questa avanzata appare tanto più sorprendente in rapporto alla modestia dei suoi inizi e alle difficoltà incontrate sul suo cammino. La Chiesa nasce in un Paese genedisprezzato, ai margini dei grandi centri del sapere e del potere, tra persone di modesta levatura culturale e sociale e, fin da principio, incontra gravi ostacoli. primo è dato dalla sua stessa dottrina, una dottrina che era « in stridente contrasto con la religiosità del tempo ». . La sofferenza considerata come strumento di salvezza e non come castigo di Dio, il « regno » aperto a tutti, anche ai peccatori, l'amore esteso a tutti, anche ai nemici, il battesimo concesso a tutti, anche ai non ebrei, erano assurdità per un pio israelita. E che dire della « bestemmia » della pretesa divinità di Gesù?fronte ai pagani, poi, per i quali era inconcepibile anche il monoteismo ebraico, la nuova religione doveva apparire come qualcosa di folle. Essa si attirava il compatimento dei greci (At 17,32), per motivi teorici, e il timore diffidente dei romani, per motivi pratici. Costoro infatti non potevano sopportare il rifiuto dei cristiani di adorare l'imperatore.
Un grave ostacolo era poi costituito dalla morale del VanCome poteva un pagano ammettere il rispetto di ogni uoanche se schiavo, nemico e barbaro, perché figlio dell'unico Padre? Come poteva concepire di perdonare le offese, di amare la povertà, di praticare l'umiltà e la castità, di rinunciare alla facile pratica del divorzio, ecc.? I costumi del mondo classico del primo secolo non avevano nulla da invidiare a quelli del consumismo più sfrenato. Eppure Paolo insegna la morale matrimoniale cristiana e propone l'ideale della verginità a Corinto (1 Cor 7), un porto di mare ricco e dissoluto, dedito al culto di Afrodite e alla prostituzione sacra. tanta difficoltà s'incontra anche oggi nell'annunciare il Vangelo, quando pure alcuni valori cristiani sono entrati, almeno in teoria, a far parte del bagaglio culturale comune, possiamo immaginare quali fossero le difficoltà della Chiesa primitiva. , ad onta di tutto, essa s'impose sempre più all'attenzione e al rispetto del mondo, conquistando senza tregua nuovi seguaci.'è chi vorrebbe spiegare la cosa ricorrendo al bisogno di una liberazione, proprio delle grandi masse di schiavi e di sotcreate dall'impero di Roma, che le predisponeva ad accogliere la « buona novella ».bisogna anzitutto ricordare che i primi cristiani non erano di norma né schiavi né sottoproletari e che Gesù stesso e gli apostoli appartenevano a quel ceto sociale che noi oggi chiameremmo « piccolo borghese ». Secondariamente, la storia c'insegna che tali masse sono sempre più sensibili all'oche all'amore, alla rivolta armata che all'elevazione pacifica, alla promessa di una liberazione terrena che a quella di un ipotetico « regno dei cieli ». Allora, come oggi, gli schiavi erano certo più propensi ad ascoltare la voce di Spartaco che quella di Cristo.
Predicando un messaggio così urtante, non fa meraviglia che la Chiesa abbia incontrato una vivace opposizione. Dapprima dagli ebrei, e quindi dall'impero, essa fu sempre osteggiata e spesso duramente repressa. Da Nerone a Costantino, durante due secoli e mezzo, i cristiani sentirono sovente gravare su di loro il peso ostile di una potenza come quella di Roma. Eppure non cedettero, eppure, senza ricorrere mai alla forza, anzi subendola sempre, continuarono ad ingrossare le proprie file, fino a diventare un movimento così imponente da indurre a patti l'impero stesso. Quale differenza con l'espansione dell'islam! Anch'essa fu assai veloce, anzi più veloce di quella cristiana, specie nel primo secolo dell'Egira, ma fu dovuta al sentimento patriottico degli arabi, e si fondò sulla « guerra santa ».
La Chiesa invece non dovette il suo sviluppo a quelle forze che solitamente muovono le masse e che sono l'antitesi del Vangelo: nazionalismo, sete di conquista, desiderio di grandezecc. Per tre secoli rimase in situazione di minoranza, e di minoranza perseguitata, una situazione, allora come oggi, sempre sgradita. Come mai ebbe tanto successo?
Il Nuovo Testamento ci dice che esso va attribuito all'assistenza divina. Scrivendo ai Corinzi, san Paolo accenna ai « segni del vero apostolato », che sono « una pazienza a tutta prova, con segni, prodigi e miracoli » (2 Cor 12,12). Così, ai Romani, dice che la sua attività missionaria si è svolta « con la potenza di segni e di prodigi, con la potenza dello Spirito » (Rm 15,19).
Qui l'Apostolo, parlando di « segni e di prodigi », non si riferisce solo ai miracoli in senso stretto da lui compiuti (At 20,912; 28,3-5), ma anche a quel continuo miracolo che fu il successo della sua parola, « la parola della croce », che è « stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si si salvano è... potenza di Dio » (1 Cor 1,18). Questa « potenza di Dio » è la vera forza della predicazione cristiana, la quale è « viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio » (Eb 4,12), e non opera fondandosi « su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza » (1 Cor 2,4).
È dunque all'assistenza soprannaturale di Dio che la Chiesa attribuisce il suo successo. L'Apostolo ne aveva preso coscienza fin dal momento della sua conversione: non era forse stata essa stessa un miracolo? (Gal 1,11-17; At 9,1-9). Non era forse stato egli stesso « conquistato da Gesù Cristo » (Fil 3,12) sulla via di Damasco?
Dobbiamo credere all'esperienza di Paolo, che è poi quella di tutta la Chiesa primitiva, e ammettere che il successo del Vangelo fu dovuto ai « prodigi che l'accompagnavano » (Mc 16,20), e al dono interiore dello Spirito. Essi rendevano la religione cristiana diversa e superiore a tutte le altre. D'altronde, senza un intervento soprannaturale, la diffusione del cristianesimo sarebbe essa stessa un « miracolo ». Come notava giustamente Dante:


« Se il mondo si rivolse al cristianesmo,'io, sanza miracoli, quest'uno
è tal, che li altri non sono il centesmo » (Paradiso 24,106).

Ma il « miracolo » della Chiesa non si limita ai primi secoli: esso abbraccia in qualche modo tutta la sua storia. Infatti attraverso i suoi uomini migliori, i santi, la Chiesa ha saputo sempre rinnovarsi, riparando i danni prodotti dal peccato, compagno inseparabile di ogni umano consorzio. L'ideale del Vangelo è arduo. Non fa quindi meraviglia che facilmente si offuschi. Ma, come i profeti in Israele, così i santi nella Chiesa hanno costantemente richiamato a Dio gli uomini del loro tempo.
Ora, il fenomeno della santità è in qualche modo anch'esso un « miracolo », perché è anch'esso un'opera straordinaria di Dio. I santi ne hanno l'intima esperienza e, come Paolo, possono dire: "Per grazia di Dio sono quello che sono" (1Cor 15,10). Ma anche chi osserva le cose dal di fuori può comprenderlo, considerando come le opere dei santi superino di gran lunga le loro capacità naturali.spensierato giovanotto di Assisi, ad esempio, sente all'improvviso la divina chiamata a vivere il Vangelo « alla lettera ». Privo di ogni mezzo e di ogni potere, ma forte della sua convinzione e del suo esempio, trascina migliaia di uomini ad abbracciare il suo rigoroso ideale di vita, imprimendo alla Chiesa un profondo rinnovamento.povera ragazza di Siena, arricchita di numerosi doni mistici, arriva ad assumere un ruolo di primo piano nella storia politica e religiosa dell'Italia del Trecento. Negli scritti da lei dettati traspare una ricchezza di pensiero teologico e di umana sapienza del tutto sproporzionate alla sua cultura. Caterina infatti, sebbene semianalfabeta, seppe individuare le riforme più urgenti di cui la Chiesa del suo tempo aveva bisogno, e seppe sostenerle con lucido e tenace coraggio. La sua dottrina illuminò e sorresse molti suoi contemporanei, a cominciare da papi e vescovi, tanto da meritarle il titolo di « Dottore della Chiesa ».  E che dire del Cottolengo, di don Orione, di don Bosco, di madre Teresa di Calcutta e di tanti e tanti altri, uomini e donne venuti dal nulla, privi di ogni appoggio e di ogni mezzo, che hanno saputo costruire opere grandiose, spesso uniche nel loro genre, forti solo della loro totale fiducia in Dio?è stato forse un « miracolo » anche il pontificato di papa Giovanni? Quest'umile figlio dell'obbedienza, di formazione strettamente tradizionale, ma puro di cuore e ricco di una grande fede, che non fece mai parlare di sé e non fece nulla per « fare carriera », non solo giunse al soglio di Pietro, ma si rivelò come il papa più « rivoluzionario » degli ultimi secoli. Ancora una volta un grande successo, come la svolta del Vaticano II, è venuto dall'obbedienza e dall'umiltà evangeliche, ancora una volta « Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono » (1 Cor 1,27-28).ù si studia la storia della Chiesa, più vi si scorge, accanto alle miserie dell'uomo, il miracolo dell'intervento soprannaturale di Dio.considera la persona e la dottrina di Gesù, i suoi miracoli e la sua risurrezione, alla luce del contesto generale della storia d'Israele e della Chiesa, non può avere dubbi. Gli indizi sono troppi, e tutti portano a riconoscere in Gesù di Nazaret un « uomo accreditato da Dio... per mezzo di miracoli, prodigi e segni » (At 2,22).
La ragione, attraverso un lungo cammino, approda così alle soglie della fede.
E Gesù è degno di fede. Possiamo e dobbiamo credergli quando si arroga attributi e poteri divini; possiamo e dobbiamo credergli quando annuncia la « lieta novella » della salvezza. La sua è una parola di verità, perché è la parola di Dio fatto uomo.
Copyright © Il Mondo di Aquila e Priscilla By Salvo Massa
Torna ai contenuti