Credere39 - Il Mondo di Aquila e Priscilla

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LA FEDE IN GESU' CRISTO

GESU' DIVINO RIVELATORE
I segni del soprannaturale

LA RISURREZIONE

I testi


La risurrezione di Gesù dai morti è più volte affermata negli scritti del Nuovo Testamento. Vi sono anzitutto i quattro Vangeli che però, come spesso avviene, differiscono non poco tra loro.
Marco è molto breve. Si limita a dirci che alcune donne, recatesi al sepolcro la mattina di Pasqua, lo trovarono aperto e vuoto, ed ebbero una visione di angeli annuncianti la risurrezione del Signore. A questo punto il suo Vangelo s'interrompe bruscamente (Mc 16,8), tanto che molti pensano che la finale sia andata perduta. Sembra impossibile che l'evangelista abbia chiuso il suo libro dicendo: « E non dissero niente a nessuno, avevano paura infatti », anche perché sarebbe questo l'unico caso di un libro dell'antichità che termina con un « infatti ». Più tardi fu aggiunta una conclusione (Mc 16,9-20), che è un breve sommario, tratto dagli altri Vangeli, delle apparizioni di Gesù risorto.altri evangelisti sono più ricchi di notizie, anche se non sempre concordano nei particolari. Su due punti comunque tutti convengono: che la mattina di Pasqua alcune donne si sono recate al sepolcro e l'hanno trovato vuoto, e che Gesù è apparso risorto, più volte e a più discepoli.
Questi dati dei Vangeli trovano una preziosa conferma in molti altri passi del Nuovo Testamento. I più antichi, e quindi storicamente più importanti, sono contenuti nella prima Lettera di san Paolo ai Tessalonicesi, scritta nell'inverno tra il 50 e il 51. Essi, secondo una critica autorevole, sono precedenti allo stesso scritto paolino e riflettono la « prima espressione stereodella risurrezione di Gesù ». Si tratta cioè di formule catechistiche molto arcaiche, riprese qui dall'Apostolo, con le quali si può risalire molto indietro, fino a un'epoca assai vicina a quella dei fatti. testo successivo di qualche anno è quello fondamentale del 15° capitolo della prima Lettera ai Corinzi, che dice: « Vi ho trasmesso, dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritfu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scrite che apparve a Cef a e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me » (1 Cor 15,3-8). l'Apostolo, che scrive nel 57, quando è ancora viva « la maggior parte » dei testimoni della risurrezione, fa appello esplicitamente alla tradizione orale della Chiesa, espressa con i termini « trasmesso » e « ricevuto », per fondare su di essa la fede dei cristiani. Si tratta dunque di una dottrina tradizionale, che risale addietro nel tempo. La conferma l'abbiamo dallo stile dei versetti 3-5, da « vi  ho trasmesso » a « quindi ai Dodici », che non è paolino, e che riproduce una formula catechistica assai più antica. Molti critici la fanno risalire all'inizio dell'attività missionaria dell'Apostolo, ossia a « pochi anni dopo la crocifissione di Gesù, quasi certamente non più di sette anni dopo, forse non più di quattro »
Arriviamo così agli albori della predicazione cristiana, che gli Atti ci presentano appunto incentrata attorno all'annuncio della risurrezione.lo evidenzia in alcuni discorsi di Pietro, in cui riassula predicazione apostolica primitiva.
Essa riecheggia in queste pagine degli Atti, sia per il linarcaico che le contraddistingue m, sia per il modo di citare l'Antico Testamento, che è tipico dell'ambiente giudaico e che compare solo qui, essendo estraneo allo stile di Luca. Tutto ciò fa giustamente supporre che all'origine di questi discorsi vi sia un antico scritto giudeo-cristiano, che risale probabilmente alla Chiesa di Gerusalemme, e che Luca utilizza nel redigere gli Atti.ricordato questi passi perché sono i più antichi e i più importanti, ma in pratica tutto il Nuovo Testamento attesta la fede nella risurrezione di Gesù. Essa « non è una credenza sviluppatasi nell'ambito della Chiesa; è il credo attorno al quale la Chiesa stessa si è formata, e un "dato" sul quale si fondò la sua fede »da vedere come la Chiesa delle origini sia giunta a questa convinzione, e se tale convinzione sia accettabile. Due fatti ne sono alla base: la scomparsa del cadavere dal sepolcro e le ripetute manifestazioni di Gesù ai discepoli.

Il sepolcro vuoto


a) I racconti
Tutti i Vangeli convengono nel dire che, alla morte di Gesù, un discepolo, Giuseppe d'Arimatea, « uomo ricco » (Mt 27,57) e « membro autorevole del Sinedrio » (Mc 15,43 e par.), ne fece seppellire il cadavere in un sepolcro nuovo di sua proprietà (Mt 27,60 e par.), « nel quale nessuno era stato ancora deposto » (Gv 19,41). Tale sepolcro, che era tipico delle persone agiate, era una grotta scavata nella roccia, il cui accesso veniva chiuso facendo rotolare una pietra circolare, simile a una macina da mulino.
La storicità della sepoltura è garantita da molti elementi. Anzitutto dalla precisazione del nome del proprietario della tomba, una precisazione che ha tutti i caratteri dell'autenticità perché si tratta di un personaggio mai altrove nominato. Nel caso di un'invenzione, si sarebbe ricorsi a un nome più noto e illustre. Vi è poi la descrizione della tomba, che concorda pienamente con i dati della storia e dell'archeologia, la sua vicinanza al Calvario, e il particolare che fosse nuova. Non era infatti consentito seppellire i giustiziati in una tomba già usata per altri, « perché il loro corpo, impuro e maledetto, non doveva contaminare col suo contatto i cadaveri di uomini giusti ». Essi dovevano quindi esser sepolti o in tombe comuni loro riservate, o in sepolcri vuoti. Vi è infine la concessione del cadavere da parte di Pilato, che concorda con la prassi amministrativa romana, e il fatto che fosse sepolto appena morto, che concorda con la prassi giudaica.i Vangeli convengono anche nel dire che la mattina di Pasqua alcune donne, tra quelle che avevano seguito da vicino Gesù, si recarono al sepolcro, e lo trovarono aperto e vuoto.sono però tra le quattro narrazioni alcune diversità. Tutti ricordano Maria di Magdala, ma Matteo aggiunge « e l'altra Maria » (Mt 28,1), Luca invece aggiunge « Giovanna e Maria di Giacomo » (Lc 24,10), e Marco « Maria di Giacomo e Salome » (Mc 16,1). Secondo Marco (16,1) e Luca (24,1), poi, le donne vanno per ungere la salma, mentre secondo Matteo (28,1) e Giovanni (20,1), vanno solo per visitare la tomba. Tutti parlano di una visione angelica alle donne, dopo di che, secondo Matteo (28,8), Luca (24,9) e Giovanni (20,2), esse corrono a darne notizia ai Dodici mentre, secondo Marco, fugsenza dir nulla « tanto erano spaventate » (Mc 16,8). Pieinfine, da solo, secondo Luca (24,12), e con Giovanni, secondo Giovanni (20,3-8), accorre al sepolcro e lo trova vuoto.si vede, si tratta di differenze abbastanza marginali, che ben si comprendono se si pensa che questi racconti, prima di essere scritti, furono trasmessi oralmente, e che l'interesse della Chiesa e dell'evangelista non era per i particolari di cronaca, ma per la sostanza del fatto. E il fatto è chiaro: la mattina di Pasqua la tomba di Gesù fu trovata aperta e vuota.

b) La certezza del fatto
Quanto al valore storico di questi racconti, si può osservare anzitutto che essi si trovano in tutti e quattro i Vangeli e che, specie in Marco e Luca, mancano di qualsiasi intento apologetico. La scoperta del sepolcro vuoto, cioè, non è per loro la prova che Gesù è risorto, ma una semplice costatazione di fatto. Qualche autore ritiene anche che il linguaggio di questi testi possa provare la loro antichità e la loro dipendenza da una fonte primitiva.
Vi è poi un dato di grande importanza, ed è che a fare i la scoperta siano state delle donne, le quali erano inabili a rendere testimonianza. La testimonianza di una donna, in tribunale o altrove, non aveva valore di prova. Se dunque questi racconti fossero stati inventati, nessuno si sarebbe sognato di attribuire la scoperta del sepolcro vuoto a delle donne.preziosa conferma della loro storicità ci viene poi dal fatto che detta scoperta avvenne « il primo giorno dopo il sabato » (Mc 16,2 e par.; Gv 20,1), o « il terzo giorno » (At 10,40; 1 Cor 15,4) dalla morte di Gesù, ossia la domenica mattina. , è un dato storico inoppugnabile che i cristiani cominciarono ben presto a considerare come festivo il giorno successivo al sabato (1 Cor 16,2; At 20,7). Il motivo di tale scelta non può essere se non il fatto che proprio in quel giorno fu scoperto il sepolcro vuoto. Non sapendo esattamente quando era risorto Gesù, essi finirono col datare l'avvenimento, e col celebrarne il ricordo, al momento in cui ne avevano avuto il primo indizio, ossia la domenica mattina. Lo stretto legame esistente tra la festività della domenica e la tomba vuota offre dunque una preziosa conferma alla storicità di quest'ultima.'altronde, come avrebbero potuto i discepoli predicare la risurrezione di Gesù, cominciando da Gerusalemme (At 2,14ss), se il cadavere del Maestro fosse rimasto nella tomba? La possibilità di smentirli sarebbe stata alla portata di tutti. resta allora che l'ipotesi della frode a chi voglia negare la storicità del fatto, l'ipotesi cioè che i discepoli abbiano trafugato il cadavere per poter dire poi che il Maestro era risorto.
È quanto fin dall'inizio sostenne il sinedrio. Matteo ci riferisce che « alcuni della guardia giunsero in città e annunziarono ai sommi sacerdoti quanto era accaduto. Questi si riunirono allora con gli anziani e deliberarono di dare una buona somma di denaro ai soldati dicendo: "Dichiarate: i suoi discepoli sono venuti di notte e l'hanno rubato, mentre noi dor... Così questa diceria si è divulgata tra i Giudei fino ad oggi » (Mt 28,13-15). I giudei dunque reagirono non negando il fatto del sepolcro vuoto, il che era impossibile, ma attribuendolo a un inganno dei discepoli.'ipotesi della frode, tuttavia, è insostenibile. Prima di tutto perché contrasta con quanto sappiamo circa l'onestà, il disinteresse e la sincerità della prima generazione cristiana. Secondariamente perché presuppone che gli apostoli avessero già l'idea di una risurrezione gloriosa, e quella di una salvezza otattraverso la morte.
Ora, « il Giudaismo non conosceva una risurrezione anticiintesa come evento storico: nella sua letteratura non vi è nulla che possa paragonarsi alla risurrezione di Gesù » l". Ugualmente, l'idea della « vita attraverso-la-morte... è così radicalnuova e così estranea alla aspettativa degli uomini che appare difficile mettere in dubbio che solo degli eventi storici abbiano potuto crearla ».quanto ci dicono i Vangeli, gli apostoli erano molto lontani dal pensare a una risurrezione gloriosa. Quando Gesù fa degli accenni profetici alla sua risurrezione, essi restano sconcertati, non comprendono (Mc 9,31-32 e par.; Lc 18,31-34), e si chiedono « che cosa volesse dire risuscitare dai morti » (Mc 9,10). Vedremo tra poco che anche quando apparirà loro risorto, stenteranno a credere ai loro occhi, tanto l'idea della risurrezione era loro estranea. Bisogna infine considerare come sia altamente improbabile che i discepoli abbiano avuto il coraggio di compiere un gesto del genere. Come pensare infatti che quegli uomini i quali, quando il Maestro era con loro non furono capaci di difenderlo, a pochi giorni di distanza, e dopo la sua sconfitta, abbiano trola forza di sfidare le leggi religiose e civili per trafugarne il cadavere? Se infatti la legge romana difendeva l'inviolabilità delle tombe, quella giudaica vietava ogni lavoro in giorno di festa.
Si aggiunga che se l'occultamento di un cadavere è sempre difficile e costituisce uno dei maggiori ostacoli per l'attuazione di un « delitto perfetto », tale difficoltà era decuplicata per i discepoli, costretti a farlo in un giorno di festa solenne, quando l'obbligo del riposo limitava fortemente la circolazione delle persone, e un'operazione del genere non poteva passare inosservata.
No, la diceria fatta circolare dal sinedrio non sta in piedi. Il sepolcro vuoto rimane un mistero e richiede una spiegazione. Saranno le apparizioni a darla.


Le apparizioni

a) I racconti
Fin dal mattino di Pasqua, Gesù si manifesta nuovamente vivo. Secondo Giovanni appare anzitutto a Maria Maddalena (Gv 20,14-17), e secondo Matteo alla stessa accompagnata dall'« altra Maria » (Mt 28,9-10); secondo Luca appare durante il giorno ai due discepoli di Emmaus (Lc 24,13-36; cf Mc 16,12) e a Simon Pietro (Lc 24,34; cf 1 Cor 15,5); infine, secondo Giovanni appare otto giorni dopo a Tommaso e ai Dodici (Gv 20,26-29). Paolo aggiunge un'apparizione a Giacomo (1 Cor 15,7), mentre l'epilogo di Giovanni parla di un'altra apparizione ad alcuni apostoli presso il lago di Tiberiade (Gv 21,1-14).
Stando ai Vangeli, a queste apparizioni dette « di riconoscimento », perché l'attenzione è rivolta all'incontro personale col Risorto, occorre aggiungere almeno un'apparizione collettiva ai Dodici, detta « di missione ». In essa infatti Gesù li invia nel mondo dicendo: « Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole... e insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato » (Mt 28,19-20 e par.). Tale apparizione, secondo Luca (24,36-49) e Giovanni (20,19-23) avvenne la sera stessa di Pasqua a Gerusalemme, mentre secondo Matteo (28,16-20) in un giorno imprecisato, in Galilea.

Paolo, infine, che ricorda un'apparizione particolare ai Dodici (1 Cor 15,5), aggiunge due apparizioni di gruppo che i Vangeli non hanno: una « a più di cinquecento fratelli » (1 Cor 15,6) e una « a tutti gli apostoli » (1Cor 15,7). Questa, che è distinta da quella ai soli Dodici, deve comprendere anche quanti, come Mattia e Barsabba (At 1,21-23), potevano dirsi « apostoli » pur non essendo dei Dodici. lettura di questi testi può suscitare qualche perplessità, sia per la loro concisione, che per alcune contraddizioni che sembrano implicare. Possibile, vien fatto di chiederci, che la Chiesa primitiva non abbia saputo essere più completa e precisa nel tramandare un fatto così importante?qui ricordare quanto detto a suo tempo sui cae i limiti della storicità dei Vangeli, e sul loro geletterario. In essi le imprecisioni, specie di tempo e di luogo, sono normali, e « avremmo ben motivo di diffidare se, in tutto il complesso dei Vangeli, solo i racconti della risurreoffrissero un quadro di perfetta armonizzazione ». A partire dai testimoni oculari devono infatti essersi formati alcuni cicli di tradizioni sulla risurrezione, ciascuno dei quali ha conservato dei particolari a preferenza di altri.inoltre che l'interesse della Chiesa nel trasmettere queste memorie non coincide con quello dello storico. « Gli evangelisti non hanno lo scopo primario di provare storicamente la realtà della risurrezione né tanto meno di essere completi nella enumerazione delle prove. Essi hanno voluto piuttosto annunciarla, presentandola nel suo significato religioso, secondo diversi aspetti ».
Classico è il caso di Luca, che nel Vangelo accenna a un'apparizione a Pietro (Le 24,34), senza tuttavia descriverla, e che negli Atti sottintende un'apparizione a Barsabba e a Mattia (At 1,21-23), di cui tace nel Vangelo. Nel Vangelo, poi, concentra tutte le apparizioni nel giorno di Pasqua, mentre negli Atti dice che Gesù « si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni » (At 1,3).lacune e queste contraddizioni non turbano Luca, che non sembra neppure accorgersene.volessimo poi capire per quale motivo nel Vangelo condensa tutto in una sola giornata, dovremmo dire che esso è insieme di carattere artistico-redazionale e teologico. Era infatti un canone fondamentale della tragedia classica — Luca era greco —che un solo fatto si compisse in un solo giorno e in un solo luogo'. L'unità di tempo, inoltre, ben si adattava all'unità di luogo, e Luca, per motivi teologici, desiderava porre in evidenza Gerusalemme, la città santa del popolo eletto, il luogo ove era naturale che l'economia della salvezza trovasse il suo pieno compimento.le imprecisioni della tradizione e le libertà redazionali degli evangelisti non c'impediscono di stabilire con certezza il fatto delle apparizioni.

b) La certezza del fatto

Cominciamo dall'apparizione alla Maddalena (Gv 20,14-17) e alle donne (Mt 28,9-10) che, secondo una critica affermata, sono « due presentazioni di una medesima apparizione di Gesù alle sante donne ». Essa ha tutte le ragioni per essere considerata storica. Si ricollega infatti strettamente con la scoperta della tomba vuota e riguarda delle donne, il che esclude che possa trattarsi di un'invenzione.
Anche l'apparizione ai discepoli di Emmaus ha seri motivi per essere ritenuta « un'esperienza storica ». Si precisa inil luogo ove è accaduta e il nome di uno dei discepoli, peraltro mai altrove nominato, non c'è traccia di preoccupazioni apologetiche, e il linguaggio presenta alcune particolarità che rivelano l'uso di una fonte scritta precedente
Assolutamente certa, poi, almeno un'apparizione ai Dodici, perché ad essa risale la loro missione apostolica.
Se qui, come in altre parti del Vangelo, non è sempre facile stabilire la storicità di questo o quel particolare, è tuttavia posarrivare alla certezza del fatto nella sua essenzialità
I Dodici e gli altri discepoli, dal momento dell'arresto di Gesù, si disperdono e fuggono (Mc 14,50 e par.), e dopo la morte infamante del Maestro confessano di aver perso ogni speranza in lui (Lc 24,21). Per essi la sua morte in croce era infatti segno di maledizione e di ripudio da parte di Dio.
Ma poco tempo dopo li ritroviamo pieni di coraggio e di entusiasmo a predicare la lieta novella, il cui nucleo centrale è appunto la risurrezione del Signore.. Come si spiega che degli uomini i quali, quando il Maestro era ancora con loro, non lo hanno capito e che, al momento del pericolo, lo hanno abbandonato, dopo il suo fallimento e la sua morte si richiamino coraggiosamente a lui e, sfidando l'opinione pubblica e le autorità, lo proclamino Salvatore e Messia? risposta ce la dà Pietro nel suo primo discorso apostolico: « Questo Gesù Dio l'ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni » (At 2,32). Essere « testimoni della sua risurrezione » (At 1,22; 3,15; 4,33; 5,32; 13,31) è sinonimo di essere apostoli, perché la risurrezione di Gesù esprime il senso profondo della nuova fede e ne garantisce la credibilità. È la risurrezione che ha trasformato questi uomini e li ha resi apostoli di una nuova religione.loro mutamento « senza che questo Gesù sia stato risuscitato dai morti e innalzato al cielo, è un miracolo non minore, ma certo in sé più incomprensibile, di fronte a cui la storia rimane non meno perplessa e sprovveduta che di fronte all'annuncio della risurrezione di Gesù Cristo dai morti ».
Ci troviamo qui pienamente ancorati alla storia.. Se i discepoli non avessero visto Gesù risorto, non sarebbero stati quelli che furono, non avrebbero dato avvio alla predicazione cristiana, e tutto sarebbe finito sul Golgota e per sempre. Qualcosa è successo che li ha cambiati, che ha dato loro idee nuove e nuovo coraggio. E questo qualcosa, essi ci dicono, è l'incontro con Gesù risorto.è credibile che sia stato così, perché solo Gesù risorto poteva ridar loro fiducia nella sua persona, e solo Gesù risorto poteva convincerli che la vita nasce dalla morte e la vittoria procede dalla sconfitta. A questo punto non resta che un'ultima obiezione: non potrebbe trattarsi di una convinzione soggettiva sincera, ma errata? In altre parole, non potrebbe darsi che i discepoli siano rimasti vittime di un'allucinazione collettiva? di norma le allucinazioni — percezioni soggettive di realtà inesistenti — si accompagnino a una malattia mentale, di cui spesso sono un sintomo, esse si manifestano talvolta anche in individui normali, e in tal caso « assumono le caratteristiche della allucinazione su base emotiva ».un'emozione religiosa molto intensa può provocare forme allucinatorie particolari, quali visioni ed estasi, come è accaduto ad alcuni santi. Non potrebbero le apparizioni di Gesù essere dei fenomeni di questo tipo? Non potrebbero i discepoli essersi illusi di averlo visto a causa dell'affetto che gli portavano, e della tenace speranza che nutrivano che non tutto fosse finito con la sua morte?primo luogo bisogna ricordare che i discepoli non si aspettavano la risurrezione. Non possono quindi aver « visto » ciò che ardentemente attendevano, perché non lo attendevano affatto. Tant'è vero che quando Gesù si manifesta,hanno difficoltà a credere ai loro occhi.Vangeli sono tutti concordi su questo punto. Luca (24,11) e la finale di Marco (16,11) notano che gli apostoli non credono alle donne quando dicono di aver trovato il sepolcro vuoto. « Quelle parole parvero loro come un vaneggiamento » (Lc 24,11), cosicché Pietro andò ad appurare di persona come stavano le cose (Lc 24,12). Quando poi Gesù apparve ai Dodici la sera di Pasqua, questi « stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma » (Lc 24,37), e si convinsero di aver di fronte Gesù redivivo solo dopo averlo visto mangiare (Lc 24,43). Giovanni, riferendo la stessa apparizione, sviluppa il tema del dubbio del noto episodio di Tommaso (Gv 20,24- 29), mentre Matteo, pur non scendendo in particolari, non manca di accennare all'incredulità dei discepoli con un breve inciso (Mt 28,17).tutti i Vangeli della risurrezione l'atmosfera generale è dunque quella della progressiva presa di coscienza di un fatto inatteso e di difficile comprensione, e poiché in questo i Dodici non fanno una bella figura di fronte agli altri cristiani, a coloro cioè che « pur non avendo visto crederanno » (Gv 20,29), dobbiamo pensare che le cose siano andate effettivamente così.è anche lo sviluppo più probabile dei fatti, dato che si trattava di avvenimenti sorprendenti, destinati a « sconvolgere » (Lc 24,22) l'animo dei discepoli. Non dobbiamo dimenticare che, per la loro mentalità, « la morte di Gesù in croce fu l'annientante giudizio di Dio su Gesù » . Ogni insuccesso, ogni male, anche la malattia fisica, era segno per un giudeo del castigo divino (Lc 13,2; Gv 9,2). Si può dunque capire perché, dopo la morte infamante di Gesù, i discepoli avessero perso ogni speranza in lui (Lc 24,21).così le cose, non ha senso parlare di visioni allucinatorie perché esse suppongono un clima psicologico ed emotivo diametralmente opposto a quello dei discepoli.secondo luogo il modo con cui gli apostoli ci parlano della risurrezione suppone che si tratti di un « fatto », e non di un'esperienza puramente soggettiva. Definendosi « testimoni » della risurrezione, essi affermano implicitamente che l'incontro col Risorto fu qualcosa di reale e di oggettivo, qualcosa su cui possono rendere una testimonianza.bisogna inoltre dimenticare che sanno distinguere le apparizioni del Risorto dalle visioni e dalle estasi mistiche. San Paolo, ad esempio, che ha avuto « visioni e rivelazioni » (2 Cor 12,1) di carattere mistico, non fa mai riferimento ad esse per fondare la sua fede. Unico riferimento è l'incontro col Risorto sulla via di Damasco (1 Cor 9,1; 15,8). Ciò significa che per lui si tratta di due esperienze diverse. E anche il linguaggio usaper designarle è diverso. Per l'incontro col Risorto, Paolo segue la tradizione evangelica (Mc 16,7; Mt 28,7.10; Gv 20,18.25- 29) ed usa il verbo « vedere » al passivo: Gesù « fu visto » (1 Cor 15,5-8), quindi « apparve ». Per le estasi invece usa altri termini, che non implicano necessariamente l'idea di una visione reale e oggettiva. terzo luogo il modo con cui i Vangeli ci presentano Gesù risorto fa pensare a un uomo dotato di un vero corpo, che cammina, parla e opera in modo simile al nostro.
Sul fatto, ad esempio, che abbia parlato, non vi possono essere dubbi. I Vangeli, come gli Atti, sono concordi nell'affermarlo, e poiché i Dodici fanno risalire la loro missione e la loro autorità apostolica all'incontro col Risorto (1 Cor 9,1), in quella circostanza deve aver « parlato del regno di Dio » (At 1,3), deve aver spiegato loro « in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui » (Lc 24,27; cf Lc 24,45-47), e deve averli inviati nel mondo ad ammaestrare « tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo » (Mt 28,19).ì, nell'episodio di Emmaus, che sappiamo ben fonda troviamo un Gesù che cammina, si siede a tavola e spezza il pane, tutti gesti molto concreti e materiali. Quando si manifesta alle donne, poi, esse « gli presero i piedi e lo adorarono » (Mt 28,9; cf Gv 20,17); apparendo ai Dodici, mostra loro le piaghe della passione (Lc 24,39; Gv 20,20), e invita Tommaso a toccarle (Gv 20,27). Infine, nell'epilogo di Giovanni (Gv 21,13), Gesù prepara il pranzo per gli apostoli, mentre in Luca vince il loro dubbio, mettendosi a mangiare con loro (Lc 24,41-43; cf At 10,40-41). Certamente una visione di natura allucinatoria non è in grado di compiere gesti del genere.
A dire il vero, alcuni esegeti diffidano del valore storico di questi particolari. Se non si deve mai dare troppo peso ai dettagli del Vangelo, essi dicono, ciò vale specialmente in questo caso che sembra nato dalla preoccupazione apologetica di provare che il Risorto non era un « fantasma » (Lc 24,37-39). Tanto più che si tratta di una testimonianza limitata ai soli Luca e Giovanni.
Bisogna dire tuttavia che, anche ammettendo di essere di fronte a un'« amplificazione » dei fatti per finalità apologetiche, cosa di cui non tutti sono convinti, la Chiesa del- le origini mostra con ciò di essersi posta il problema di una possibile allucinazione e di avervi risposto negativamente. Coloro che avevano visto Gesù redivivo erano certi di essere stati in presenza di un uomo reale, e di aver ripreso con lui il rapporto di convivenza interrotto dalla morte (At 1,21-22).
D'altronde, non avevano costatato essi stessi che la tomba del Maestro era vuota, e che il suo cadavere era misteriosamente scomparso?
La tomba vuota, allora come oggi, non consentiva d'interpretare le apparizioni come allucinatorie. C'era un fatto reale e tangibile che si connetteva strettamente ad esse e che, contro ogni possibilità di dubbio, reclamava la risurrezione fisica di Gesù.


Tra storia e metastoria

A questo punto si può concludere che la risurrezione di Gesù è un fatto storico. Nel dir questo, però, occorre precisare che essa è insieme un fatto storico e metastorico, un fatto cioè che per un verso appartiene alla storia e che per l'altro la trascende.
Anzitutto è un miracolo e, come ogni miracolo, ha un aspetto esteriore e verificabile, e uno interiore e misterioso, ossia l'azione soprannaturale di Dio che trascende la dimensione del mondo empirico. Nel miracolo infatti noi non « vediamo Dio » all'opera, perché Dio sfugge alla nostra osservazione, ma assoltanto a fenomeni straordinari. Che essi siano miracolosi, frutto cioè di un intervento diretto di Dio, non è una « costatazione » di fatto, ma una « interpretazione » del fatto . Poiché esso appare inspiegabile e poiché s'inserisce in un contesto religioso, noi « concludiamo » che si tratta di un miracolo.
Si può dunque parlare di prova storica della risurrezione solo nel senso che si possono accertare dei dati dai quali necessariamente consegue che Gesù è risorto.risurrezione inoltre è un miracolo tutto particolare, perché l'elemento misterioso vi occupa un posto di eccezione. Essa infatti non è stata per Gesù, come per Lazzaro, un ritorno alla vita precedente. Il Nuovo Testamento ci dice che, risorgendo, Gesù ha acquistato una vita nuova e diversa, gloriosa e immortale, trascendente i limiti della vita ordinaria. , a proposito della risurrezione, parla di un corpo « spirituale » contrapposto a quello « animale » (1 Cor 15,44) della vita presente, di un corpo cioè posseduto dalla « forza vitale di Dio... che partecipa della pienezza e della forza di vita divi». Un tale corpo, che i discepoli per un dono di grazia particolare hanno potuto più volte vedere, non appartiene al mondo delle realtà naturali, e quindi neppure al mondo della storia, ma a un mondo « che ci sfugge completamente ». In questo senso la risurrezione è fuori della storia perché la trascende. il modo col quale Gesù si rese visibile a mostrare come la sua nuova condizione fosse diversa da quella dei comuni mortali. Egli per due volte entrò a porte chiuse nel « luogo dove si trovavano i discepoli » (Gv 20,19.26), così come scomparve improvvisamente alla loro vista (Lc 24,31). E già la possibilità di presentarsi e di assentarsi in questo modo è un segno della sua nuova situazione. il fatto che il suo riconoscimento non fu immediato e automatico, attesta la stessa cosa. Maria Maddalena, quando lo vide, lo scambiò per un altro (Gv 20,14-15), mentre i discepoli di Emmaus fecero con lui un buon tratto di strada senza riconoscerlo (Lc 24,16). Alla Maddalena occorse una parola (Gv 20,16), ai discepoli un gesto familiare (Lc 24,30-31), perché capissero che si trattava di Gesù. fatti, che sono come degli squarci nel velo che avvolge la nuova vita del Risorto, hanno indotto i discepoli a concludere che Gesù era di nuovo vivo, ma di una vita particolare, misteriosa e superiore; in una parola, che era stato glorificato dal Padre.conclusione apparve loro come l'unica ragionevole, anche perché realizzava le profezie di Gesù, rendendole finalmente comprensibili. E tale appare ancor oggi a noi.

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