Credere27 - Il Mondo di Aquila e Priscilla

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LA FEDE IN GESU' CRISTO
LA REALTA' STORICA DI GESU'
Caratteri e limiti della storicità dei Vangeli
Il genere letterario

Tutti sappiamo che due uomini, appartenenti a due diverse civiltà, posti di fronte a una stessa situazione reagiscono in modo diverso. Noi diciamo che hanno una diversa mentalità, una disensibilità, una diversa cultura, per cui, se a un indiano sembra logico patire la fame piuttosto che nutrirsi di carne bovina, a un europeo ciò sembra assurdo. Questo avviene perché gli uomini normalmente pensano, si esprimono e operano secondo certi schemi comuni, che derivano dall'ambiente in cui vivono. Léon-Dufour spiega la cosa rifacendosi al fenomeno della « moda ». « Che cos'è la moda? — egli si chiede —. Una forma collettiva di pensare, di sentire, di esprimersi, in funzione di tutta una civiltà ». Non è infatti solo nel vestire che gli uomini seguono la moda, ma in tutte le manifestazioni della vita, incluso il modo di parlare e di scrivere.

Per genere letterario s'intende appunto un certo modo di scrivere tipico di un certo ambiente e di un certo tempo. Si dice comunemente che c'è un linguaggio « da caserma » e uno « da salotto », un linguaggio « scientifico » e uno « poetico », un linguaggio « accademico » e uno « giornalistico », ecc. Ne consegue che per comprendere il senso esatto di un'asserzione bisogna sapere a quale tipo di linguaggio appartiene., ad esempio, leggiamo di qualcuno che s'intrattiene a parlare con la luna o ad ascoltare la voce di un torrente, non dobbiamo subito pensare di aver a che fare con un pazzo: può trattarsi semplicemente di un poeta! È proprio infatti del genere letterario poetico l'esprimersi in questo modo.
Così, se un astronomo dice: « Stasera ho ammirato il sole che calava dietro i monti », non si deve concludere ch'egli rifiuti il sistema eliocentrico copernicano. È assai pìù probabile invece ch'egli usi in quel momento il linguaggio familiare, che si guarderebbe bene dall'usare in sede scientifica.spontaneo ricordare in proposito l'abbaglio preso dal Sant'Ufficio con la condanna di Galileo, dovuta all'interpretazione letterale della Bibbia. Nel clima d'intransigenza della Controriforma, il Sant'Ufficio credette di dover intendere alla lettera il versetto della Bibbia che dice: « Stette fermo il sole in mezzo al cielo » (Gs 10,13), concludendo che è verità rivelata da Dio che il sole si muove attorno alla terra.la Bibbia è « ispirata », non « dettata » da Dio, il che significa che l'autore sacro pensa e scrive secondo la mentalità, la cultura, i generi letterari propri del suo tempo e del suo ambiente. È alla loro luce che le sue parole vanno intese. Dio, « parlando per mezzo di un uomo, parla a modo degli uomini », diceva già a suo tempo sant'Agostino. La Bibbia si esprime quindi in un linguaggio umano, con i caratteri e i limiti di ogni linguaggio umano. Di ciò bisogna sempre tener conto se non si vuol fraintenderne il senso.
Certo, spesso è difficile comprendere il genere letterario di un'opera che appartiene a una civiltà remota, soprattutto se ci mancano i termini di confronto, se cioè non possediamo altri scritti di quel tempo e di quella cultura.
Facciamo un esempio. Tutti sanno che I promessi sposi sono un « romanzo storico », sono cioè insieme il frutto di una libera creazione della fantasia e di una rigorosa ricerca storica. Storia e romanzo s'intrecciano continuamente nella narrazione, dando luogo a una tipica creazione artistica. Ora, se a seguito di qualche catastrofe, andasse perduto ogni ricordo della letteratura dell'Ottocento e si salvasse solo una copia de I promessi sposi, gli uomini del futuro troverebbero non poca difficoltà nell'interpretarne esattamente il senso, e alcuni potrebbero credere che si tratti di una storia vera e propria.
Qualcosa del genere è successo per alcuni scritti della Bibbia. I Libri di Tobia, Giuditta, Ester, Giobbe e Giona, ad esempio, furono presi un tempo per libri storici perché scritti in forma di storia. Oggi invece, grazie a una più attenta critica e a una più profonda conoscenza della letteratura antica, siamo in grado di stabilire il loro vero genere letterario, che è quello del « racconto edificante ». Sono cioè novelle, brevi romanzi, scritti per istruire moralmente e religiosamente il popolo, anche se lo spunto può esser stato offerto da un fatto reale.
Anche in questo caso, come in quello de I promessi sposi non possiamo accusare i loro autori di volerci trarre in inganno. La conoscenza del loro genere letterario ci permette infatti di comprenderne esattamente il senso.  


Generi letterari d'altri tempi

Venendo ora ai nostri Vangeli, possiamo attenderci che essi, essendo molto antichi, usino generi letterari che non ci sono più familiari e che richiedono quindi uno sforzo d'interpretazione.
È questo il caso del genere apocalittico, un linguaggio di tipo profetico che fa ampio uso di visioni simboliche. I discorsi di Gesù sulla fine di Gerusalemme (Mc 13; Lc 21,5-33), associata alla fine del mondo (Mt 24,1-44) e al giudizio finale (Mt 25,31-46), appartengono a questo genere letterario, e solo tenendo conto di ciò si possono rettamente intendere. Le immagini di cui abbondano non vanno dunque prese alla lettera.
Qui (Mc 13,26 e par.), come nel processo davanti al sinedrio (Mc 14,62 e par.), Gesù parla della venuta del Figlio dell'uomo « sopra le nubi del cielo », attribuendo a se stesso la profezia di Daniele 7,13. Ma perché proprio sopra le nubi? Perché le nubi nel linguaggio biblico, e in quello apocalittico in particolare, sono « il carro di Iahvè » (Sal 104,3), o meglio, sono la manifestazione sensibile della presenza di Dio (Es 13,22; 1 Re 8,10-12). Per lo stesso motivo, troviamo la presenza di una nuvola quando Gesù si trasfigura (Mc 9,7 e par.) e quando ascende al cielo (At 1,9). Esse hanno un valore simbolico, sono l'espressione di una particolare presenza di Dio, così come lo è la « voce » celeste che si fa udire nella trasfigurazione e nel battesimo (Mc 1,11 e par.).
Invece di esprimersi in termini astratti, come faremmo noi, e parlare di « presenza operante » di Dio, di « dono interiore » dello Spirito, di « consacrazione messianica », ecc., gli evangelisti preferiscono « drammatizzare » gli avvenimenti soprannadescrivendoli con immagini tratte dal linguaggio apocalittico (voce, luce, nube, ecc.).
Anche a prescindere dal genere apocalittico, l'uso di espressioni con valore simbolico è piuttosto frequente nei Vangeli. È il caso, ad esempio, dei numeri.
I numeri infatti, non solo nell'Antico Testamento, ma anche nei Vangeli, sono più dei simboli che delle precise espressioni di misura. Perciò il numero 3, il 4 e il 7, con i loro multipli, vi ritornano con grande frequenza. Matteo (1,1-17) riassume e schematizza la genealogia di Gesù in tre gruppi di 14 generazioni [7+7]; Luca (6,20-23) ha quattro beatitudini, e Matteo (5,3-10) ne ha otto [4+4] ; il ritiro di Gesù nel deserto dura quaranta giorni (Mc 1,12-13 e par.), come quarant'anni durò la permanenza d'Israele nel deserto del Sinai; Pietro vorrebbe perdonare sette volte, ma Gesù gli dice di farlo settanta volte sette (Mt 18,21-22); Gesù scaccia sette demoni dalla Maddalena (Mc 16,9); nella prima moltiplicazione dei pani (Mc 6,38 e par.) si serve di cinque pani e due pesci [5 + 2 = 7] , e nella seconda di sette pani (Mt 15,34; Mc 8,5), ecc.

È questo un procedimento caro non solo al mondo giudaico, ma anche a quello dell'antichità classica. Basti pensare al gusto per le disquisizioni sui numeri proprio della filosofia pitagorica, e al compiacimento di sant'Agostino, uomo colto della tarda romanità, nello sviluppare il simbolismo dei numeri biblici. È chiaro dunque che tali numeri non vanno presi alla lettera, e che sono un'espressione di misura molto approssimaÈ anche questo un artificio letterario di cui si deve tener conto.
Vi è poi un altro procedimento da ricordare, ed è l'uso del discorso diretto. « Al tempo degli evangelisti, lo storico non riteneva di mancare alla verità storica più rigorosa facendo dire in stile diretto ai suoi personaggi un riassunto dei loro reali propositi, mentre uno storico moderno riferirebbe un tale riassunto in stile indiretto ».
Si è già detto che i discorsi di Gesù che troviamo nei sinottici sono spesso composizioni artificiali di parole da lui proin circostanze diverse e raccolte, prima dalla tradizione orale, e poi dagli evangelisti, attorno a un tema comune. Tali raccolte non sempre riferiscono alla lettera le parole di Gesù, ma sono spesso un riassunto del suo pensiero, fatto però in stile diretto, presentato cioè come uscito dalle sue labbra.
Chi usa con maggior libertà e frequenza di questo procedimento è Giovanni. Egli, accanto a frasi lapidarie di Gesù che riecheggiano lo stile dei sinottici (Gv 2,19; 5,17; 12,24; 13,16; 16,21; 20,29), e accanto ad alcuni dialoghi vivaci e spontanei che rivelano i ricordi di un teste oculare (Gv 1,37-50; 6,5-10;11,1-44), ha spesso dei lunghi discorsi composti in modo elaborato e artificioso, diversi per forma e contenuto da quelli degli altri Vangeli. infatti nei sinottici Gesù non ama parlare di sé, in Giovanni lo fa di frequente; se nei sinottici il linguaggio è concreto e popolare, in Giovanni è solenne e astratto; se nei sinottici il discorso è chiaro e incisivo, in Giovanni è spesso ermetico e oscuro, tanto che il suo significato si va progressivamente chiarendo solo attraverso le domande degli interlocutori. C'è dunque la presenza di uno schema comune in tutti questi discorsi, nei quali il messaggio di Gesù è proposto « in modo tanto "giovanneo" che è difficile individuare le parole esatte di Gesù » , e capire dove finisce di parlare il maestro e dove comincia il discepolo.modo di procedere ricorda in qualche modo quello usato da Platone nei suoi Dialoghi. Egli, anche negli scritti più antichi in cui è minore il suo contributo personale, riporta con una certa libertà il pensiero di Socrate, pur facendolo sempre parlare in prima persona.
In maniera analoga Giovanni, quando fa parlare Gesù, ne riferisce il pensiero assieme alla propria riflessione teologica. A differenza di san Paolo che espone la sua teologia in forma di lettera e a nome proprio, Giovanni lo fa in forma di Vangelo, inserendola nei discorsi di Gesù. Non si tratta di una contraffazione, ma di un genere letterario in uso ai suoi tempi, per il quale il discepolo, nell'esporre il pensiero del maestro, si riteneva autorizzato a spiegarlo e ad approfondirlo.
E come si può dire a ragione che « il ritratto spirituale più vero di Socrate è sempre quello che ci dà Platone: ritratto ideale, ma che assomiglia al vero Socrate secondo le leggi di una verità più profonda » , così si può dire che « il quarto Vangelo » è « il punto d'arrivo di uno sforzo, perseguito sotto la guida dello Spirito Santo, per un'intelligenza più profonda e luminosa del mistero di Cristo ». conclusione, chi legge una pagina del Vangelo con animo di storico deve far attenzione al genere letterario nel quale è stata scritta, se vuol comprenderne esattamente il senso.  


Il genere letterario dei Vangeli

Al di là delle singole forme letterarie usate dagli evangelisti, possiamo chiederci: a quale genere letterario appartengono i Vangeli presi nel loro insieme? Essi infatti hanno una trama di fondo e uno stile che sono comuni e che conferiscono loro un carattere peculiare.
Abbiamo visto che non sono biografie in senso stretto, in quanto non sono narrazioni precise e ordinate della vita di Gesù. Abbiamo anche visto che si sono formati in seno alla Chiesa, e precisamente in seno all'attività missionaria, catechistica e liturgica della prima generazione cristiana.
Il loro genere letterario sarà quindi quello della predicazione, della catechesi, dell'annuncio della « lieta novella » (evangelo). Ma è una catechesi che ha per oggetto dei fatti, ossia la vita, morte e risurrezione del Signore. Sarà dunque una « catechesi che parte dalla storia », o, se si vuole, una « storia predicata ».storia è e resta al fondo del Vangelo, ma viene esposta in forma didattica perché alimenti la vita religiosa e morale dei cristiani. Come sarebbe infatti possibile fare un'omelia partendo da una fredda, arida e nuda « cronaca » di fatti? Essa sarebbe di grande interesse per lo storico, ma non servirebbe al predicatore, desideroso di far conoscere la vita del suo Signore perché sia luce, guida e conforto a quella dei fratelli. Ed è appunto per questo che sono stati scritti i Vangeli.dice chiaramente di aver scritto « perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo abbiate la vita nel suo nome » (Gv 20,31).
Tale intento catechistico dona al Vangelo la sua nota caratteristica, la sua colorazione propria, determinandone il genere letterario di fondo. Il materiale grezzo dei fatti e dei detti di Gesù viene scelto, ordinato e presentato in vista di questo interesse, senza tuttavia venir falsato. Come vedremo, la storicità globale dei Vangeli rimane.

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