Credere30 - Il Mondo di Aquila e Priscilla

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LA FEDE IN GESU' CRISTO
LA REALTA' STORICA DI GESU'
Caratteri e limiti della storicità dei Vangeli
VALORE STORICO PROPRIO DEI VANGELI
Scritti "di parte"?

Se i Vangeli sono nati dalla catechesi della Chiesa e se intendono convincere e convertire, possono apparire come scritti « di parte », e quindi come non attendibili. Che una testimonianza sia « imparziale » non è infatti il primo requisito della sua credibilità?

Risponderemo anzitutto che, come non esiste un solo modo di fare storia, così non esiste un solo tipo di fonte storica attendibile: non possiamo limitare la nostra fiducia alla nuda cronaca o al resoconto ufficiale. Sappiamo infatti che anche la storia moderna, scritta col più severo rigore scientifico, comporta sempre un elemento soggettivo e personale.
La vita di Napoleone, ad esempio, scritta da uno storico che ha interessi prevalentemente militari, sarà diversa da quella scritta da chi abbia interessi prevalentemente politici o economici. Questo perché in ogni storia è sempre presente la problematica e la personalità di chi la scrive, che le dona una particolare colorazione. L'accentuazione di certi dati a preferenza di altri, la valutazione dei fatti da un punto di vista più che da un altro, caratterizza sempre l'opera di uno storico, ma non per questo « falsa » le cose.
Se dunque un libro di storia resta valido e attendibile anche se scritto con un interesse specifico, economico o politico ad esempio, dobbiamo ritenere validi e attendibili i Vangeli, anche se scritti con un interesse didattico.
Non è detto poi che la simpatia che lo storico prova per i fatti che narra debba necessariamente indurci a sospettare di lui. Al contrario, per comprendere a fondo un personaggio o un movimento storico è molto utile simpatizzare con essi.
Di Alcide De Gasperi, ad esempio, ci è nota la vita e l'azione da migliaia di documenti, ma forse nessuno come la figlia Maria Romana ha saputo condensare in poche pagine la figura interiore di quest'uomo. Storia idealizzata? Certo, è una storia scritta con amore, ma non per questo falsa. I dati che ci fornisce sullo statista corrispondono a quanto di lui conosciamo da altre fonti, anche se l'immagine che ne emerge attinge una profondità assente altrove.
        Potremmo ricordare, per connessione d'idee, un altro celebre statista: Tommaso Moro, le cui più antiche biografie sono tutte dovute alla penna di parenti o di amici. La prima « vita » di questo santo fu scritta da William Roper, suo genero e grande ammiratore. La successiva in ordine di tempo è quella di Nicholas Harpsfield, che utilizzò ampiamente quella dell'« amico » Roper, mentre la terza fu scritta da William Rastel, nipote dello stesso Moro. Ciò non toglie che si tratti di testimonianze storicamente valide, ancor oggi ampiamente utilizzate dai biografi.
         Una grande personalità, un uomo intelligente, saggio e virtuoso, suscita sempre ammiratori e discepoli, che sono poi i primi a conservarne la memoria.
        Di questo abbiamo due famosi esempi nell'antichità: Buddha e Socrate. Tutti e due furono grandi maestri di spirito, tutti e due non lasciarono nulla di scritto, e tutti e due ci sono noti soltanto attraverso le testimonianze dei discepoli.
        Buddha inoltre passarono quasi due secoli e mezzo priche si scrivesse qualcosa di lui. Eppure nessuno dubita che si possano conoscere, almeno a grandi tratti, i reali lineamenti della sua vita e del suo pensiero. Lo stesso può dirsi per Socrate, che conosciamo solo attraverso Senofonte e Platone, che furono suoi discepoli, e Aristotele, che fu discepolo di Platone.
         La stima e l'affetto che possiamo nutrire per una persona non impedisce infatti di comprenderla per quella che è, anzi dà la possibilità di penetrarne più a fondo sentimenti e pensieri. Per questo la critica odierna ritiene comunemente che l'immagine più vera di Socrate sia proprio quella dataci dal discepolo prediletto, da colui che sembra idealizzarne di più la figura: Platone.
        D'altronde, il seguace di un grande maestro di spirito non può essere che un uomo di alto livello morale e, come tale, sine disinteressato, desideroso di trasmettere il pensiero del maestro senza tradirlo. Se, nel farlo, egli aggiungerà qualcosa di suo, non sarà per alterarlo o falsarlo, ma solo per approfondirlo, spiegarlo ed esporlo nel modo che gli sembra più confacente.
        Che la storia di Gesù sia stata narrata dai suoi discepoli non ne infirma dunque l'attendibilità.


Scritti fedeli al vero

Dopo quanto si è detto sulla parte svolta dalla comunità cristiana nel « dar forma » alla tradizione orale cui si rifanno i Vangeli, e su quella svolta dagli evangelisti nel redigerli, è anpossibile parlare della loro storicità?
La risposta ci viene anzitutto da quanto accertato nella priparte di questo capitolo. Se i Vangeli contengono delle imprecisioni, non è detto per ciò stesso che siano leggendari. Sotto questo aspetto, il confronto con gli Apocrifi è illuminante.
Anche la loro conformità ai dati della storia, della geografia e dell'archeologia è un chiaro indizio di attendibilità. D'altronde, le divergenze riscontrate tra i Vangeli sono sempre marginali, e non intaccano mai i dati essenziali della figura di Gesù e del suo insegnamento. In effetti, l'opera della Chiesa si è limitata a « dar forma » alla tradizione orale e alla redazione scritta dei Vangeli, senza travisare la sostanza dei fatti.
Possiamo quindi a ragione parlare di una storicità essenziale, o globale, dei Vangeli.conferma di ciò si può avere da un esame più approfondito dei testi evangelici e dell'ambiente che li ha formati. Tale storicità globale è infatti avallata dalla « concordanza discorde » esistente tra loro, dall'arcaicità del loro contenuto, dall'attaccamento alla « tradizione » della Chiesa primitiva e, in particolare, dei predicatori della « buona novella ».

a) La « concordanza discorde »
Sappiamo che gli evangelisti sono spesso discordi nel riferire le parole e le azioni di Gesù. Ciò significa che essi non si sono copiati tra loro, e che non hanno trascritto una fonte comune precedente. Ma sappiamo anche che, al di là di queste divergenze, essi conservano una profonda unità. Moltissimi fate insegnamenti sono comuni e, per i sinottici, comune è lo schema generale della narrazione.
Ora, se le differenze si spiegano con i motivi che abbiamo esposti, come si spiega l'accordo di fondo che così strettamente li unisce? Come avrebbe potuto stabilirsi un così stretto accordo di base, se essi fossero frutto della libera fantasia creatrice? Non c'è che la fedeltà alla prima predicazione apostolica, e quindi ai fatti, che può giustificare tale « concordanza », sia tra loro che con gli altri scritti del Nuovo Testamento °.
Bisogna dire poi che le lacune e le imprecisioni dei Vangeli non vanno esagerate. Se è vero che essi non ci danno una storia di Gesù ordinata e completa, è anche vero che gli studiosi, alla luce della critica più rigorosa, ritengono di poter accertare molti dettagli della sua vita, a cominciare dalle sue parole "l.
Ciò significa che, tanto la tradizione orale, quanto la redascritta dei Vangeli, pur avendo dato una propria colorazione ai racconti, non ha sostanzialmente mutato la realtà dei fatti, la fedeltà ai quali è la sola spiegazione della loro sostanziale unità.
« "Vale più un accordo tacito che manifesto", ha detto Eraclito. Un fatto che ci viene attestato da tradizioni diverse e perfino contrastanti riveste, nella sostanza profonda, una ricchezza e una solidità che una testimonianza pienamente coerente, ma con un solo suono, non gli saprebbe dare »

b) L'arcaicità del contenuto
I Vangeli sinottici, anche se redatti una quarantina d'anni dopo la morte di Cristo, contengono un materiale molto vecchio, che non riflette la situazione esistente al momento della loro redazione, ma quella dei tempi di Gesù.

Abbiamo già osservato come i Vangeli descrivono con esattezza l'ambiente storico e geografico in cui si svolse la vita del Salvatore , e come pongono spesso in piena luce gli aspetti umani della sua esistenza . L'immagine di Gesù che ci offrono è molto realistica e pienamente inserita nel contesto storico in cui effettivamente egli visse. Questo è già un segno della loro arcaicità, della loro fedeltà al passato.c'è di più. Essi riferiscono fatti e parole di Gesù che non hanno una stretta attinenza con la vita della Chiesa in cui sono nati, mentre sembrano ignorarne i problemi più scottanti. Ciò significa che non sono il prodotto della Chiesa che li ha scritti. Vangeli che, ad eccezione del primo Matteo, furono scritti in ambienti non giudaici, dedicano largo spazio a riferire le dispute di Gesù sull'adempimento della legge mosaica e della precettistica giudaica. Trattano dell'obbligo del riposo del sabato (Mc 2,23 e par.; 3,1-6 e par.; Lc 13,10-17; Gv 9,16, ecc.), dell'osservanza del digiuno (Mc 2,18 e par.), delle abluzioni rituali (Mc 7,2-13 e par.), ecc., ossia di cose tutte prive d'interesse per le comunità nelle quali si sono formati.
Al contrario, mancano in essi indicazioni precise a proposito dei problemi più vivi della Chiesa del tempo. Uno di questi, forse il più scottante, era di sapere se i pagani che si convertivano alla fede dovessero o meno circoncidersi prima del Battesimo. Il rito della circoncisione avrebbe significato per loro l'aggregazione al popolo ebraico, col relativo impegno all'osservanza delle sue leggi.
I cristiani di Gerusalemme, specie quelli provenienti dal fariseismo, erano di questo parere, mentre quelli di origine pagana, il cui più autorevole interprete fu Paolo, erano contrari. La vertenza finì con l'assumere toni tanto acuti da provocare un incidente anche tra Pietro e Paolo (Gal 2,11), e da rendere necessario il ricorso all'autorità degli apostoli, riuniti per l'occasione in Concilio a Gerusalemme (A t 15,1ss; Gal 2,1-10). E questi, sotto la presidenza di Pietro, approvarono la linea che mirava a staccare completamente il cristianesimo dal giudaismo, dichiarando non necessaria la circoncisione.
Ora, su di un problema così dibattuto, nulla troviamo nei Vangeli se non la generica esortazione di Gesù a predicare « a tutte le genti » (Lc 24,47).i Vangeli fossero stati « creati » dalla prima comunità cristiana conterrebbero certamente qualche frase in cui Gesù dice che la circoncisione non è necessaria alla salvezza. Dobinfatti ricordare che furono scritti tutti dopo la controcoi giudaizzanti e il Concilio di Gerusalemme (49 d.C.). Ma se tacciono su di un punto così fondamentale, dilungandosi invece su argomenti non più di attualità, è segno che sono fedeli ai fatti, che « riferiscono » cioè e non « inventano ».
Questa fedeltà all'antico, questa arcaicità dei Vangeli, appare anche dal loro confronto con le Lettere di san Paolo. Esse, escluse quelle a Tito e Timòteo, sono anteriori al 63, ossia a tutti i sinottici . Tuttavia, sia il linguaggio che la riflessione teologica sono assai più arcaici nei Vangeli che nell'epistolario paolino.
Per il linguaggio, troviamo ad esempio che l'espressione « Gesù Cristo », o « nostro Signore Gesù Cristo », così frequente in san Paolo, manca nei sinottici , nei quali è raro anche il semplice appellativo di Cristo. Gesù è chiamato solitamente « Maestro » e talvolta anche « Profeta », mentre ama definirsi « Figlio dell'uomo ».
I sinottici mostrano così di conservarsi fedeli al linguaggio usato da Gesù e dai suoi contemporanei, senza lasciarsi influenzare da quello invalso più tardi nella Chiesa.
Non solo il linguaggio, ma anche il contenuto dottrinale dei Vangeli è più antico e meno elaborato di quello paolino.uno degli aspetti centrali dell'annuncio cristiano: quello della salvezza portata da Gesù. In san Paolo esso è trattato con ampiezza e sviluppato in maniera unitaria e coerente. Gesù vi appare, mediante il sacrificio della croce, come il « riconciliatore » degli uomini con Dio (2 Cor 5,18), il « propiziatore » (Rm 3,25), il « nuovo Adamo » (1 Cor 15,22.45-49; Rm 5,12ss), capostipite dei redenti, come il vecchio Adamo lo fu dei peccatori.Vangeli, invece, la missione salvifica di Gesù è appena tratteggiata nei suoi elementi essenziali. Gesù « salva » anzitutto perché guarisce gli infermi (Mc 5,23.28.34; 6,56 ; 10,52; Mt 9,22), e poi perché perdona i peccati (Mc 2,10-11; Lc 7,50; Gv 5,14) e trasforma il cuore degli uomini (Lc 19,9-10). Infiquesta salvezza è un valore di tale importanza che dev'essere anteposta a tutto (Mc 8,35-37 e par.). Più di questo i Vangeli non hanno.si vede, si tratta di una dottrina appena abbozzata, ben lontana dallo sviluppo che ne darà poi san Paolo, il quale l'aveva già elaborata ed esposta... prima che si scrivessero i Vangeli.
Ciò significa che il loro contenuto è molto antico, e che è rimasto sempre fedele al ricordo della predicazione di Gesù.


c) Lo spirito della Chiesa primitivaOltre all'analisi del contenuto, anche quella dell'ambiente nel quale i Vangeli hanno preso forma depone a favore della loro storicità. La Chiesa primitiva infatti era profondamente attaccata alla tradizione, ossia alla testimonianza resa dagli antichi.il prologo di Luca, apprendiamo che esistevano ai suoi tempi « dei racconti degli avvenimenti successi tra di noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio », e che l'evangelista, prima di accingersi a scrivere, fece « ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi » (Lc 1,1-4). Luca sente il bisogno di dirci che quanto scrive lo ha attinto alla testimonianza di chi fu presente ai fatti, e questo perché partecipa alla mentalità comune della prima generazione cristiana, che riteneva l'annuncio del Vangelo appunto come una « testimonianza ».idea la troviamo già in Gesù, sia quando prevede la testimonianza che i suoi discepoli gli avrebbero reso davanti ai persecutori (Mc 13,9 e par.), che quando invia gli apostoli nel mondo come testimoni della sua vita, morte e risurrezione (Le 24,47-48; At 1,8).
Essa inoltre è presente nella predicazione della Chiesa, fin dagli inizi. Il primo annuncio cristiano, nel giorno della Pentecoste, è l'annuncio di Gesù risorto, di cui gli apostoli sono i testimoni (At 2,32). Testimoni della risurrezione (At 3,15), essi lo sono anche della vita terrena del Maestro. Quando si tratta di eleggere uno che prenda il posto di Giuda, Pietro propone che « tra coloro che ci furono compagni per tutto il tempo in cui il Signore Gesù ha vissuto in mezzo a noi, incominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di tra noi assunto in cielo, uno divenga, insieme a noi, testimone della sua risurrezione » (At 1,21-22). Condizione per essere apostolo è dunque quella di poter testimoniare su tutta la vita di Gesù per avervi partecipato di persona (At 10,39-41).
San Paolo, che non fu teste oculare dei fatti, sente più di una volta il bisogno di appellarsi all'autorità di tali testimoni
(1 Cor 15,5-7; Gal 2,2). Ciò ch'egli predica, infatti, lo « trasmette », perché a sua volta lo ha « ricevuto » (1 Cor 11,23; 15,3). Ed i suoi collaboratori dovranno prendere « come modello le sane parole » apprese dalle sue labbra, e custodire il « buon deposito » (2 Tm 1,13-14; cf 1 Tm 6,20) della tradizione, se vorranno adempiere fedelmente il loro ministero.
« Le cose che hai udito da me — scrive san Paolo a Timòteo — in presenza di molti testimoni, trasmettile a persone fidate, le quali siano in grado di ammaestrare a loro volta anche altri » (2 Tm 2,2). Queste raccomandazioni dell'Apostolo, prigioniero e prossimo alla morte, a uno dei suoi più fidati collaboratori, esprimono la viva preoccupazione della Chiesa apostolica di conservare intatto quanto era stato tramandato sulla vita e sugli insegnamenti di Gesù. E poiché Paolo è morto con ogni probabilità nel 67, proprio quando venivano redatti i sinottici, possiamo esser certi che nel periodo che va dalla morte di Gesù alla stesura dei Vangeli non è mai venuto meno nella Chiesa l'impegno di mantenersi fedeli alle origini.


d) L'autorità degli apostoli
Coloro che appaiono così preoccupati di custodire e trasmettere fedelmente il dato tradizionale sono i capi della primitiva comunità cristiana, sulla quale esercitano un'indiscussa autorità.
La Chiesa si presenta infatti fin dagli inizi come fondata sui Dodici, tra i quali spicca Pietro. Sono i Dodici i primi testimoni della vita, morte e risurrezione di Gesù (At 1,8.21-22), i primi predicatori della fede (At 2,42). Essi inoltre amministrano i beni della comunità (At 4,37; 5,2), consacrano i primi diaconi (At 6,6), impongono le mani sui neoconvertiti donando loro lo Spirito Santo (At 8,17), e ispezionano di continuo le nuove comunità sorte al di fuori di Gerusalemme (At 8,14-17; 9,32; 11,20-22) .
E quando sorgono divergenze d'opinioni su di un problema di particolare rilievo, si ricorre all'autorità degli apostoli (At 15), che nel dirimere la questione riaffermano la propria autorità'''. Ubbidire a loro è ubbidire allo Spirito Santo, come mentire a loro è mentire allo Spirito Santo (At 5,4.9).
Paolo, aggregato al collegio apostolico in un secondo tempo, sente il bisogno, verso gli inizi del suo apostolato, di andare a Gerusalemme per consultarsi con Pietro (Gal 1,18), ove tornerà, dopo circa un decennio, per esporre ancora « alle persone più ragguardevoli » il contenuto della propria predicazione. Questo per non rischiare di « correre o di aver corso invano » (Gal 2,2). Le persone ragguardevoli di cui egli parla sono gli apostoli prediletti di Gesù: Pietro, Giacomo e Giovanni, « ritenuti le colonne » (Gal 2,9) della Chiesa.comunità da lui fondate, poi, Paolo non solo dà ordini (1 Cor 7,6ss; 11,34; 1 Tm 6,14; 1 Ts 4,2ss; ecc.) e riprende gli erranti (1 Cor 4,21; 5,1-5), ma veglia con la sua autorità perché si conservi pura la fede degli inizi (Col 1,23; 2,6-8), esortando i suoi più stretti collaboratori a fare altrettanto (1 Tm 4,6-7; 2 Tm 4,1-5; Tt 3,9). E quando la comunità dei galati è turbata dai giudaizzanti i quali, contro l'insegnamento di Paolo e del Concilio di Gerusalemme, vorrebbero imporre a tutti la circoncisione, l'Apostolo vi si oppone con estrema energia, tanto da dichiarare anàtema, ossia scomunicato, chiunque voglia mutare la dottrina della Chiesa.
« Se anche noi stessi o un angelo dal cielo — egli scrive — vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema! L'abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema! » (Gal 1,8-9). Sono parole che non ladubbi sullo spirito della predicazione apostolica, spirito di fedeltà alla tradizione e, attraverso di essa, al divino Maestro.
La Chiesa nascente ci appare quindi come una società non anarchica, ma sottomessa all'autorità di capi, i quali si mostrano preoccupati di conservare intatto l'originario annuncio del Vangelo.
Stando così le cose, non c'era spazio per la nascita di miti e di leggende. Tant'è vero che, quando a più di un secolo di distanza apparvero i primi Vangeli apocrifi, i pastori della Chiesa seppero subito respingerli.
La parte svolta dalla comunità cristiana nel « dar forma » alla tradizione pre-evangelica, se ha operato delle scelte e se ha costruito i racconti secondo le proprie esigenze, non ha però « creato » nulla, e nulla ha « deformato », ma ha sempre e solo « trasmesso » la primitiva predicazione apostolica

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