LA FEDE IN GESU' CRISTO
Sappiamo che i sinottici furono scritti 30-40 anni dopo la morte di Gesù, mentre il Vangelo di Giovanni fu scritto 70 anni dopo. L'annuncio cristiano, prima di essere posto per iscritto, fu dunque tramandato a voce.Atti ci dicono che l'attività catechistica occupava il primo posto tra le preoccupazioni pastorali degli apostoli. Essi, quando si accorgono di non poter arrivare a tutto, perché la Chiecresceva rapidamente, decidono d'istituire il gruppo dei diaconi (inservienti) perché, dicono, « non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il servizio delle mense » (At 6,2). La predicazione viene dunque prima della carità materiale e, per san Paolo, prima degli stessi sacramenti (1 Cor 1,17).
Dalla primitiva predicazione apostolica nasce la « tradizione orale ». Gli insegnamenti di Gesù e i fatti salienti della sua vita vengono costantemente ricordati nelle comunità cristiane, sia per alimentare la fede all'interno della Chiesa, che per diffonderla all'esterno. Si forma così una raccolta di ricordi su Gesù in forma di catechesi non scritta, sulla falsariga di quella esistente nel giudaismo. Questo infatti conosceva da tempo un insieme di dottrine e di precetti trasmessi oralmente che, assieme agli scritti della Bibbia, costituiva il patrimonio religioso e morale della nazione ebraica e che, conservato fedelmente di generazione in generazione, fu posto per iscritto nella Mishna.
LA REALTA' STORICA DI GESU'
Caratteri e limiti della storicità dei Vangeli
ORIGINE DEI VANGELI
La tradizione orale
Dalla primitiva predicazione apostolica nasce la « tradizione orale ». Gli insegnamenti di Gesù e i fatti salienti della sua vita vengono costantemente ricordati nelle comunità cristiane, sia per alimentare la fede all'interno della Chiesa, che per diffonderla all'esterno. Si forma così una raccolta di ricordi su Gesù in forma di catechesi non scritta, sulla falsariga di quella esistente nel giudaismo. Questo infatti conosceva da tempo un insieme di dottrine e di precetti trasmessi oralmente che, assieme agli scritti della Bibbia, costituiva il patrimonio religioso e morale della nazione ebraica e che, conservato fedelmente di generazione in generazione, fu posto per iscritto nella Mishna.
Dalla primitiva predicazione apostolica nasce la « tradizione orale ». Gli insegnamenti di Gesù e i fatti salienti della sua vita vengono costantemente ricordati nelle comunità cristiane, sia per alimentare la fede all'interno della Chiesa, che per diffonderla all'esterno. Si forma così una raccolta di ricordi su Gesù in forma di catechesi non scritta, sulla falsariga di quella esistente nel giudaismo. Questo infatti conosceva da tempo un insieme di dottrine e di precetti trasmessi oralmente che, assieme agli scritti della Bibbia, costituiva il patrimonio religioso e morale della nazione ebraica e che, conservato fedelmente di generazione in generazione, fu posto per iscritto nella Mishna (fine II secolo) e nel Talmud (V secolo).
Alla tradizione orale della Chiesa vennero poi ad aggiungersi brevi scritti, cui Luca accenna nel prologo (Lc 1,1), e che i critici ritengono necessari per spiegare alcune identità verbali esistenti tra i Vangeli . Erano piccole raccolte di sentenze di Gesù e di episodi della sua vita, composti ad uso dei predicache si collocavano accanto alla tradizione orale e in funzione sussidiaria di questa.trasmettere questi dati, l'interesse della Chiesa era eminentemente pratico. Si trattava di ricordare quei fatti e quei detti di Gesù che potevano alimentare la fede dei cristiani, e non di compilare una « vita di Gesù » completa, ordinata nel tempo ed esatta nei particolari. Fu così che si trasmisero solo le parole e i gesti del Maestro più significativi per la comunità cristiana, e lo si fece senza preoccuparsi di collocarli in un contesto di tempo e di luogo ben preciso.
Quando più tardi si formarono dei primi raggruppamenti di discorsi, dei primi « blocchi » di sentenze del Signore, questo accadde di solito attorno a un tema comune. Si trovarono così riunite tra loro le « parabole del regno » (Mt 13) e quelle « della misericordia » (Lc 15), le invettive contro scribi e farisei (Mt 23) e le predizioni della fine di Gerusalemme e del mondo (Mt 24-25 e par.), i cinque conflitti coi farisei (Mc 2,1-3.6) e le cinque dispute con gli scribi e gli anziani (Mc 11,27-12,37), ecc. solo le parole, ma anche le opere di Gesù vennero riutra loro per argomento. Si formarono ad esempio delle raccolte artificiali di miracoli (Mc 4,35-5,43), che videro raggruppati fino a dieci miracoli consecutivi (Mt 8-9).
Quando poi queste raccolte parziali furono riunite nella più vasta narrazione evangelica, esse finirono col trovare una diversa collocazione nei diversi Vangeli, e questo spiega le imprecisioni e le divergenze esistenti nelle indicazioni di tempo e di luogo.
Non mancava tuttavia una cronologia sommaria della vita di Gesù, incentrata attorno agli eventi di maggior rilievo. I discorsi di Pietro che troviamo riassunti negli Atti (2,14-36; 3,1216; 4,8-12; 5,29-32), specie quello al centurione Cornelio (At 10, 34-43), ci offrono il più antico schema della vita di Gesù al quale si rifaceva la predicazione primitiva.
L'inizio dell'attività del Signore viene ricollegato al ministero di Giovanni Battista, si sviluppa in Galilea, e termina a Gerusalemme con la morte in croce. Ma la morte non ha ragione di Gesù. Egli risorge il terzo giorno, appare ai discepoli, e ordina loro di annunciare la salvezza a tutte le genti. In questo schema della predicazione primitiva i sinottici faranno rientrare il materiale della tradizione a loro disposizione, dando luogo alla trama generale dei Vangeli.
Alla tradizione orale della Chiesa vennero poi ad aggiungersi brevi scritti, cui Luca accenna nel prologo (Lc 1,1), e che i critici ritengono necessari per spiegare alcune identità verbali esistenti tra i Vangeli . Erano piccole raccolte di sentenze di Gesù e di episodi della sua vita, composti ad uso dei predicache si collocavano accanto alla tradizione orale e in funzione sussidiaria di questa.trasmettere questi dati, l'interesse della Chiesa era eminentemente pratico. Si trattava di ricordare quei fatti e quei detti di Gesù che potevano alimentare la fede dei cristiani, e non di compilare una « vita di Gesù » completa, ordinata nel tempo ed esatta nei particolari. Fu così che si trasmisero solo le parole e i gesti del Maestro più significativi per la comunità cristiana, e lo si fece senza preoccuparsi di collocarli in un contesto di tempo e di luogo ben preciso.
Quando più tardi si formarono dei primi raggruppamenti di discorsi, dei primi « blocchi » di sentenze del Signore, questo accadde di solito attorno a un tema comune. Si trovarono così riunite tra loro le « parabole del regno » (Mt 13) e quelle « della misericordia » (Lc 15), le invettive contro scribi e farisei (Mt 23) e le predizioni della fine di Gerusalemme e del mondo (Mt 24-25 e par.), i cinque conflitti coi farisei (Mc 2,1-3.6) e le cinque dispute con gli scribi e gli anziani (Mc 11,27-12,37), ecc. solo le parole, ma anche le opere di Gesù vennero riutra loro per argomento. Si formarono ad esempio delle raccolte artificiali di miracoli (Mc 4,35-5,43), che videro raggruppati fino a dieci miracoli consecutivi (Mt 8-9).
Quando poi queste raccolte parziali furono riunite nella più vasta narrazione evangelica, esse finirono col trovare una diversa collocazione nei diversi Vangeli, e questo spiega le imprecisioni e le divergenze esistenti nelle indicazioni di tempo e di luogo.
Non mancava tuttavia una cronologia sommaria della vita di Gesù, incentrata attorno agli eventi di maggior rilievo. I discorsi di Pietro che troviamo riassunti negli Atti (2,14-36; 3,1216; 4,8-12; 5,29-32), specie quello al centurione Cornelio (At 10, 34-43), ci offrono il più antico schema della vita di Gesù al quale si rifaceva la predicazione primitiva.
L'inizio dell'attività del Signore viene ricollegato al ministero di Giovanni Battista, si sviluppa in Galilea, e termina a Gerusalemme con la morte in croce. Ma la morte non ha ragione di Gesù. Egli risorge il terzo giorno, appare ai discepoli, e ordina loro di annunciare la salvezza a tutte le genti. In questo schema della predicazione primitiva i sinottici faranno rientrare il materiale della tradizione a loro disposizione, dando luogo alla trama generale dei Vangeli.
Gli "ambienti vitali " della Chiesa primitiva
Ma le divergenze tra i Vangeli non si limitano alle sole indicazioni di tempo e di luogo. Ve ne sono altre che riguardano il contenuto del messaggio, e che si possono spiegare solo tenendo conto della situazione concreta nella quale la tradizione orale si è venuta formando, ossia dell'« ambiente vitale » in cui essa ha « preso forma ».
Tutti sappiamo che l'ambiente in cui si vive può influire sul nostro modo di pensare e di agire. Diciamo che esiste una mentalità operaia, contadina e borghese, perché a una determinata condizione sociale corrisponde un certo modo di pensare, di parlare e di agire. D'altronde, accade che la stessa persona usi un diverso linguaggio a seconda che si trovi in famiglia o in società, in fabbrica o in chiesa.
È quindi lecito supporre che l'ambiente nel quale sono stati trasmessi i ricordi della vita di Gesù abbia influito sulla loro « forma ». , tali ricordi ci sono stati trasmessi in seno alla Chiesa, la quale era impegnata in tre attività fondamentali: la predicazione, ossia il primo annuncio della fede ai non cristiani (kela catechesi, ossia l'approfondimento della fede stessa per i cristiani; e infine la preghiera comunitaria (liturgia), incentrata attorno all'Eucaristia (At 2,42). A queste tre attività corrispondono tre ambienti vitali diversi: la missione, la catee il culto. Fu in essi che la tradizione evangelica venne formandosi e da essi ricevette le sue diverse colorazioni.'ambiente missionario appartengono tra l'altro i racconti dei miracoli e quelli delle controversie.naturale che il primo annuncio di Gesù, Figlio di Dio, fosse accompagnato dal racconto dei miracoli da lui operati. Ne troviamo una chiara eco nel discorso di san Pietro il giorno della Pentecoste, ove si dice che Gesù fu « uomo accreditato da Dio... per mezzo di miracoli, prodigi e segni » (At 2,22). D'altronde, già a suo tempo Gesù aveva fatto appello ai miracoli per mostrare l'origine divina della sua missione (Mt 11,5; Lc 11,20).
È dunque in connessione col kerigma che la Chiesa conserva il ricordo dei miracoli di Gesù e, come s'è detto, quello delle controversie con i suoi oppositori. Esse manifestano la grande sapienza del Maestro, capace di « sorprendere » i farisei (Mt 22,22), di « chiudere la bocca » ai sadducei (Mt 22,34), di « sbalordire la folla con la sua dottrina (Mt 22,33), tanto che « nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo » (Mc 12,34).al kerigma, esisteva nella Chiesa una catechesi, ossia un approfondimento dottrinale per coloro che avevano già aderito alla fede. Si trattava di scendere ai particolari dell'insegnamento del Maestro e alle sue direttive di fronte ad alcuni problemi conquali il digiuno (Mc 2,18-22 e par.), il divorzio (Mc 10,1-12 e par.), l'elemosina (Lc 12,33 e par.), l'imposta dovuta al tempio (Mt 17,24-27) o all'autorità romana (Mc 12,13-17 e par.), ecc.
All'ambiente catechetico dobbiamo non solo la conservazione degli insegnamenti di Gesù, ma anche lo stesso « modo » di presentare i fatti della sua vita. Anche le azioni da lui, compiute tendono qui a divenire « insegnamenti ». È così che un miracolo, più che il segno della potenza operante di Dio, tende in questo ambiente a diventare il simbolo di una realtà spirituale.
L'episodio della tempesta sedata, ad esempio, che Marco riassieme ad altri due miracoli (Mc 4,35-41), conservandogli il sapore di un « racconto di miracolo » al cui centro è il potere taumaturgico di Gesù (Mc 4,41), assume in Matteo (8,23-27) un sapore catechetico. E preceduto infatti da alcuni versetti (Mt 8,18-22) in cui si parla delle condizioni richieste per « seguire » Gesù. Egli « sale » sulla barca e i suoi discepoli lo « seguono ». Ma seguire Gesù è impossibile senza una piena e totale fiducia in lui, perché senza di essa non si possono superare le burrasche che sempre accompagnano la vita di un cristiano e che sono simdal lago in tempesta.
Il fatto è lo stesso, ma diversa è l'angolazione sotto la quale è visto, lo scopo per il quale è narrato e, di conseguenza, diversi sono alcuni particolari della narrazione. Ad esempio, mentre in Marco gli apostoli si rivolgono a Gesù chiamandolo semplicemente « Maestro », in Matteo lo chiamano « Signore ». Marco si attiene ai fatti e riferisce l'appellativo abituale di Gesù. Matteo invece lo sostituisce con « Signore », per sottolineare che la fede del cristiano dev'essere la fede in Gesù come « Signore », come « Salvatore » dell'umanità.
Vi è infine l'ambiente vitale della preghiera comunitaria, ossia della liturgia. Stando alla testimonianza degli Atti, i primi cristiani « erano assidui » non solo « nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli », cioè la catechesi, ma anche « nella frazione del pane e nelle preghiere » (At 2,42). Con la frazione del pane, ossia con l'Eucaristia, la Chiesa ripeteva la cena del Signore e ricordava la sua passione e morte, che con la cena strettamente si connettono.
È naturale, quindi, che i più antichi racconti della cena, e probabilmente anche quelli della passione, siano nati in questo ambiente, e che in esso abbiano preso la loro « forma ». La tradizione, invece di ricordare la cena alla maniera di una cronaca completa, ma fredda, centra la sua attenzione su quelle parole e su quei gesti di Gesù che venivano ripetuti nelle celebrazioni eucaristiche. Così, il racconto della cena che troviamo nei Vangeli, nato dalla tradizione viva della Chiesa, riflette nella sua « forma » quella della celebrazione eucaristica in uso nella cristianità primitiva.
Il mistero eucaristico illumina anche il racconto della moltiplicazione dei pani, che viene perciò narrato con lo stesso schema usato per l'ultima cena. Se nella cena Gesù « prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro » (Mc 14,22), nella moltiplicazione dei pani egli « levò gli occhi al cielo, proò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai discepoli » (Mc 6,41). La prima generazione cristiana, che vide nella moltiplicadei pani una prefigurazione dell'Eucaristia, attribuì a Gesù che moltiplica i pani gli stessi gesti della cena eucaristica.
Le tradizioni orali che si erano formate a partire dalla predicazione apostolica, ripetevano dunque le parole di Gesù e narravano le sue azioni secondo le necessità vitali della Chiesa. Era una parola viva, che si adattava ai diversi ambienti e assumeva diverse forme a seconda delle esigenze e dei gusti degli ascoltatori.
Molte delle diversità esistenti tra i Vangeli si devono quindi alle diverse situazioni vitali nelle quali si formarono e si trasmisero le narrazioni pre-evangeliche. Un evangelista attinse da una parte, uno dall'altra, determinando così quelle differenze che noi oggi riscontriamo.
La sensibilità specifica di ciascun evangelista
Ma gli evangelisti non furono dei semplici compilatori delle tradizioni esistenti. Anch'essi avevano sia un proprio pubblico con le sue particolari esigenze, sia una propria visione del messaggio cristiano, ossia una propria teologia. Su questa base essi non solo scelsero nella tradizione i materiali che più si adattaal loro scopo, ma li elaborarono secondo la propria mentalità, donando così un carattere specifico e originale a ciascun Vangelo.
Matteo, che s'indirizza agli ebrei e vuol provare che Gesù è il Messia atteso da Israele, mostra come nella sua vita tutto sia accaduto « perché si adempisse » una profezia . Nel far questo, egli ricorda talvolta dei particolari che gli altri hanno dimenticato, come ad esempio il prezzo del tradimento di Giuda, trenta monete d'argento (Mt 26,15), perché esso adempie una profezia (Mt 27,3-10).
Altre volte, forza leggermente i fatti per evidenziare l'avvedi una profezia. Così, dice che sulla croce Gesù fu abbeverato con vino misto a fiele (Mt 27,34), perché ha presente la profezia del Salmo 69, mentre Marco parla invece di vino misto a mirra (Mc 15,23), mantenendosi più aderente alla realtà storica. Allo stesso modo, nell'ingresso trionfale in Gerusalemme, Matteo fa sedere Gesù su di un'asina accompagnata da un pule(Mt 21,7), per realizzare la profezia di Zaccaria (Zc 9,9), mentre Marco (11,7) e Luca (19,35) parlano solo di un asinello.
Un altro carattere tipico del Vangelo di Matteo è la finalità catechistica che tutto lo pervade. Matteo è il Vangelo sinottico che ha il maggior numero di discorsi di Gesù e nel quale anche i fatti, a cominciare dai miracoli, assumono un valore didattico. Il « fatto » miracoloso è narrato solitamente con estrema brevità, mentre l'accento è posto sull'insegnamento che ne deriva . Matteo vuole piuttosto istruire che raccontare, e questo dona una particolare colorazione a tutto il suo Vangelo.
Il Vangelo di Marco, invece, sembra situarsi all'estremo opÈ il più breve di tutti, vi mancano molti discorsi di Gesù presenti negli altri, mentre abbondano gli episodi miracolosi. Scrivendo per pagani di cultura romana e volendo provare che Gesù è il Figlio di Dio, Marco insiste sui miracoli.
Non che egli inventi dei miracoli che gli altri non hanno. Anzi, ne ha quattro in meno di Matteo e Luca, e solo due che essi non hanno. Egli piuttosto li mette in evidenza, perché confida nel loro potere di convinzione. I suoi lettori infatti erano romani, uomini più di azione che di pensiero, particolarmente sensibili alle manifestazioni di forza. I miracoli narrati da Marco sono appunto atti di potenza, in cui il forte per eccellenza, il Figlio di Dio, manifesta il suo dominio sugli uomini, sulle cose e sulle forze del male.
Il Vangelo di Luca, infine, scritto anch'esso per i cristiani provenienti dal paganesimo, presenta Gesù come il salvatore misericordioso dell'umanità. Sono sue le parabole della misericordia (Lc 15) e alcuni racconti di perdono di peccatori: la peccatrice innominata (Lc 7,36-50), Zaccheo (Lc 19,1-10) e il buon ladrone (Lc 23,40-43). Anche i miracoli, più che segni della potenza di Dio sono segni della sua misericordia.
In questa linea si situa anche la sua predilezione per i poveri e gl'infelici. Nel discorso delle beatitudini, a differenza di Matteo che parla di « poveri di spirito » e di « fame e sete di giustizia » (Mt 5,3-6), ha « beati voi poveri », « beati voi che ora avete fame », « beati voi che ora piangete » (Lc 6,20-21). È propria di Luca inoltre la parabola del povero Lazzaro e del ricco epulone (Lc 16,19-31), come l'ingiunzione di Gesù: « Vendete ciò che avete e datelo in elemosina » (Lc 12,33), che Matattenua in « non accumulatevi tesori sulla terra » (Mt 6,19).
A questo punto siamo in grado di capire quali sono le ragioni delle differenze esistenti tra Vangelo e Vangelo. Esse deoltre che dalle inevitabili lacune della memoria nel ricordare i dettagli, anche dal particolare tipo di ambiente nel quale i racconti sono stati trasmessi prima di esser posti per iscritto, e dalla particolare sensibilità degli evangelisti, che hanno diverscelto e plasmato il dato della tradizione.
Ma tutto questo non chiarisce ancora il problema essenziale dal quale eravamo partiti, anzi sembra renderlo più oscuro. Dotutto ciò che si è detto, infatti, possiamo ancora fidarci della testimonianza dei Vangeli?
Potremo rispondere a questa domanda solo dopo aver parlato del loro « genere letterario ».